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Colombia, prove tecniche di pace

Giovedì 23 giugno, mentre l’Europa e buona parte del resto del mondo erano impegnate a commentare i presunti sfaceli legati all’uscita, se mai vi era entrata, della Gran Bretagna dall’Unione Europea, a molte migliaia di chilometri di distanza si stringevano la mano il dirigente delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc) Timoleon Jimenez e l’attuale presidente dello Stato sudamericano Juan Manuel Santos.

Garanti del cessate il fuoco faticosamente raggiunto sono stati il presidente cubano Raul Castro, il segretario dell’Onu Ban Ki-moon e vari altri rappresentanti di nazioni confinanti e della Norvegia, Stato che molto si è speso per la pace in Colombia.

Un evento inimmaginabile soltanto alcuni anni fa.

Dopo oltre 50 anni di guerra, vera, con morti ammazzati, non con flussi economici virtuali, spread o bund tedeschi che dir si voglia, ma con quasi 300 mila vittime fra civili e militari, milioni di sfollati e condizioni di tensioni e paure che hanno accompagnato generazioni di colombiani, finalmente pare aprirsi una pagina nuova in una delle guerre fratricide più longeve del nostro tempo.

Il successo del dialogo, avviato ufficialmente nel 2012, è dovuto in buona parte all’opera di intermediazione di Cuba da un lato, territorio che si è reso garante degli incontri bilaterali, e delle Nazioni Unite dall’altro, che hanno tentato di agevolare il superamento delle tensioni, causate soprattutto dalle solite ingerenze statunitensi, impegnati a finanziare le economie rurali per agevolare il superamento della coltivazione della coca, principale fonte di reddito del Paese, ma anche grande finanziatore sotto banco dell’esercito e peggio ancora delle forze paramilitari presenti in Colombia ( da circa 15 anni la Colombia riceve armi dagli Usa in misura enorme, seconda solo alle forniture concesse a Israele e all’Egitto, all’interno del grande progetto denominato “Plan Colombia” lanciato dall’amministrazione Clinton); sono soprattutto questi eserciti clandestini ad esser causa di stragi e violenze inaudite, che hanno terrorizzato per anni la popolazione civile sospettata di complicità verso i ribelli.

L’ultima grande forza rivoluzionaria dell’America Latina ha una storia oramai lunga: le Farc nascono infatti nel 1964: Ernesto “Che” Guevara è ancora vivo, la guerra fredda è al suo apice e gli Stati Uniti perpetuano una politica estera fortemente invasiva nei confronti dei governi considerati non amici ( siamo negli anni dell’inizio dell’impegno in Vietnam e in tutto il sud America). In Colombia Washington lancia l’operazione “Marquetalia”, pronta a reprimere con ogni strumento le esperienze di autorganizzazione agraria contadina in atto. Una collettivizzazione volta a redistribuire le ricchezze e a ottimizzare gli sforzi, in contrapposizione ad una politica liberista e oligopolista, fortemente condizionata da ingerenze straniere.

Data l’enorme disparità di forze in campo, la guerriglia parve come il solo strumento possibile verso l’instaurazione di una democrazia di impronta socialista, sul modello di quanto si stava per l’appunto sviluppando in quel tempo fra Cuba e la Bolivia, Colombia e il Cile. Tutti esperimenti affogati nel sangue della controguerriglia a stelle e strisce (dalla morte di Salvator Allende progettata dalla Cia e all’omicidio su commissione di Guevara).

Negli anni gli scontri nel Paese si sono fatti più cruenti, sono sorte numerose denominazioni paramilitari e di estrema destra, responsabili delle più violente efferatezze, in una guerra tutti contro tutti che ha causato soltanto lutti e dolore.

L’intesa, raggiunta già in settembre, raccoglie tra l’altro punti chiave su cui si era trovato l’accordo nel corso dei tre anni di trattative a Cuba, come la riforma agraria da attuarsi nel rispetto della società e dell’ambiente, la partecipazione degli ex guerriglieri alla vita politica (potranno costituire un partito a tutti gli effetti, cosa che in realtà avvenne già in passato, ma dopo che i leader delle Farc vennero falcidiati in una serie di attentati la guerriglia riprese) e lo stop alla produzione della droga, la principale forte di sostentamento dei guerriglieri, ma anche delle forze paramilitari, e in generale una delle principali voci non ufficiali dell’economia della nazione, per cui verrebbe adottata una riconversione delle coltivazioni in prodotti agricoli.

Le chiese colombiane hanno svolto un incessante e decisivo lavoro di dialogo, di unione, di crescita di consapevolezza collettiva, ed hanno certamente contribuito a sciogliere tensioni e a favorire il reciproco ascolto.

Azioni che evidentemente hanno dato a lungo fastidio se è vero che molti leader religiosi sono finiti negli scorsi anni in quelle che erano vere e proprie liste di proscrizione stilate dalle forze paramilitari. E’ soltanto di inizio 2015 infatti un monito molto severo pronunciato dal Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) a denuncia di simili atteggiamenti riservati ai vertici delle chiese mennonita, anglicana, presbiteriana e cattolica, indicati dai gruppi di estrema destra come “obiettivi militari”, proprio per l’infaticabile lavoro di promozione del processo di pace. Gli stessi luoghi di culto sono stati spesso violati, divenendo teatro di omicidi collettivi, in sprezzo di qualsiasi tradizione o pudore, come avvenuto ad esempio nel 2012 con la strage di oltre 100 civili all’interno della chiesa di Bellavista, causata dal fuoco incrociato che ha lasciato sul terreno innocenti vittime.

In un documento approvato dal comitato centrale del Cec, riunito in questi giorni in Norvegia, si saluta con gioia il cessate il fuoco bilaterale siglato a l’Havana, preannunciando visite ufficiali proprio al fine di salutare e incoraggiare un simile punto di svolta.

Molto sangue ha sporcato le vie delle città principali così come i sentieri delle foreste più impervie, terreno quest’ultimo in cui hanno proliferato per anni le Farc.

Ora finalmente il cessate il fuoco, che tutti devono vivere come un impegno decisivo, per voltare veramente pagina in uno degli ultimi conflitti ideologici, eredità del secolo breve. Sempre che sia la volontà di tutti, in una nazione dagli interessi economici illegali enormi, con un prodotto base, la cocaina, che in larga parte viene smerciata proprio negli Stati Uniti.

Immagine: via flickr.com, di Silvia Andrea Moreno