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La via smarrita del Nord e la linea delle palme

C’era una volta in Italia una questione meridionale. C’era a partire dal 1861: l’esito di un processo di unificazione nazionale portato avanti tra gesti magnanimi e grandi malefatte, il regno di Napoli e Sicilia annesso al Piemonte sabaudo con mano militare. 150 anni dopo, l’evidenza della crisi di sistema ha fatto sì che gli storici, ove più ove meno, prendessero atto dell’Italia monarchica prima e della repubblicana dopo, nate dal connubio di contrapposte ideologie e da due guerre civili, di una educazione politica e civile in senso liberale mancata agli italiani.

La questione del sistema-Italia che era all’inizio essenzialmente meridionale si è allargata al Nord, al paese intero. La società settentrionale ha perso il proprio carattere più esemplare, l’essere il motore dello sviluppo del paese, l’additarne un cammino non tanto di progresso quanto di crescita ragionata.

«La via del Nord è smarrita, al pari di quella dell’Italia (in un’Europa che forse non ne ha mai trovata una)». Lo afferma Giuseppe Berta, docente di Storia contemporanea, nei suoi aspetti economici in particolare, dell’università Bocconi di Milano, che ha raccontato con splendidi accenti e rigore di analista la metamorfosi involutiva, il declino della società settentrionale in un forte saggio, La via del Nord – Dal miracolo economico alla stagnazione*.

Leonardo Sciascia aveva visto giusto, in chiusura del thriller siciliano Il giorno della civetta, nel prevedere che passo dopo passo la «linea delle palme», il male del Sud sarebbe risalito verso il Nord dissolvendo le virtuose pratiche civili di cui il Nord si credeva depositario. Le contraddizioni italiane sono emerse con forza quando il virtuoso processo di ricostruzione postbellica, il «miracolo economico» è finito. In un’Europa in stagnazione, in declino economico, sociale, culturale, morale, l’Italia è un anello debole di quel simulacro di Unione che si rivela sempre di più Eurozona.

La carrellata nella storia di Giuseppe Berta ripercorre la deriva di smarrimento del Nord articolando il discorso su quattro elementi: le imprese, i lavoratori, la città, la politica. Dagli anni del Viaggio in Italia di Guido Piovene tra la primavera del 1953 e l’autunno del 56, vigilia del «miracolo economico», gli anni di un capitalismo tradizionalista e ancora virtuoso, fondato sul lavoro, il risparmio, la dedizione all’impresa assoluta e cieca, passando per gli anni ’90 segnati dalla disarticolazione del «triangolo industriale» Torino-Genova-Milano, la crisi della Fiat, «le grandi imprese che si ritirano» a oggi, il paesaggio economico del Nord si fa irriconoscibile rispetto a pochi decenni prima. Il capitalismo di risparmio cede al finanziario, a imprese a geometria variabile in un humus propizio all’insediamento dell’economia illegale, al radicamento della criminalità.

Lo spettro della deindustrializzazione induce la metamorfosi del lavoro, delle figure operaie: «l’orgoglio operaio tra di noi non c’è più. Si lavora per lo stipendio, è sparito il senso di appartenenza», testimoniano gli operai più avvertiti, lavoratori del Nord che un tempo erano stati il nerbo della classe operaia, della moderna civiltà industriale. Ora «l’impresa si fa matrigna». La città, il volto urbano cambiano aspetto nel passaggio d’epoca, sull’onda della terziarizzazione, della mobilitazione dei consumi. L’autore ne documenta il cambiamento con brillanti flash su Torino e Milano, le due metropoli simbolo della nuova iconografia urbana, fulcri del reale nuovo, tra luci e miraggi della ribalta, opacità di desolazione e insicurezza. Richiama i focus della letteratura e del cinema sui nuovi costumi che entrano di prepotenza nel reale della città che si dilata alla campagna, nella vita di tutti.

Quarta area di indagine dell’autore è la politica. Da De Gasperi e i governi centristi del dopoguerra a quelli di centrosinistra, con «i comunisti interdetti tra fabbriche e partito, la socialdemocrazia impossibile» nella cultura politica italiana malata di storicismo. E poi «L’ora di Craxi» con il modello di milanesità abortito, i «primi anni del Duemila con il Nord terreno precluso per la sinistra», fino alla soglia dei giorni nostri, che vedono l’abbandono della «questione settentrionale» da parte di un movimento come la Lega che del rilancio del Nord aveva fatto la sua ragion d’essere e lo slogan.

La lettura di questo saggio affascinante, difficilmente riassumibile nella sua densa articolazione di temi e vicende, si fa suggerire a quanti vogliono fornirsi di uno strumento di comprensione della deriva italiana di oggi, al di là degli schemi dell’informazione precotta di quotidiani e tv. Leggerlo vale la pena, come si dice, ma non è una pena affatto.

* G. Berta, La via del Nord – Dal miracolo economico alla stagnazione. Bologna, Il Mulino, 2016, euro 15,30.