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Le chiese e l’opera dello Spirito

«Questa sarebbe la prima epoca della Storia umana in cui nello stesso territorio (l’Europa appunto) si registra la convivenza di tutte le religioni (e di tutte le tradizioni all’interno di ciascuna), e di popoli e culture che altrove si escludono vicendevolmente o si fanno guerra». Così recita uno dei passaggi della relazione del Comitato permanente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (Cp Opcemi), discusso durante la Consultazione metodista, al Centro Ecumene (Velletri), il 27-29 maggio.

Quale il ruolo delle chiese cristiane oggi nel nuovo scenario, incerto eppure gravido di possibilità, della post-secolarizzazione? Una sfida che «sembra consegnarci, come cristiani europei (e nel nostro specifico come cristiani protestanti e metodisti, anche in Italia), un ruolo non da comparse» (relazione Cp), seppur in un quadro non stabile, in forte cambiamento, plurale in maniera inedita.

Da dove cominciare dunque? Certamente dalla Parola, dalla sua promessa, e dalla chiesa che si costituisce, ora come allora, per opera dello Spirito Santo. Un’azione che sa unire la pluralità (le lingue di fuoco dello Spirito, evocate dal più anziano dei partecipanti con un’emozione che ha contagiato e riscaldato il cuore dei presenti) nell’unità. Questa dimensione di testimonianza deve guidare ancora una volta il nostro sforzo di fedeltà all’Evangelo. E far sì che il profilo delle nostre chiese sia ancor più riconoscibile nel nuovo spazio pubblico: tra le tante tradizioni che oggi convivono, chi sono questi protestanti in Italia che si chiamano metodisti e valdesi? 

Essere uniti nella pluralità è infatti lo specifico della storia delle nostre chiese. I metodisti e i valdesi vivono in un’unione di chiese, sancita dal patto che l’anno scorso ha compiuto quarant’anni. A questa testimonianza unita siamo chiamati oggi come ieri, arricchiti dalla nostra pluralità, che diviene feconda quando posta nell’orizzonte dell’unità. 

Le preoccupazioni identitarie, che emergono con forza nei momenti più difficili, come quello di oggi che è guidato da parole chiave quali fluidità e precarietà, potrebbero distrarci da questa nostra storia, dalla nostra missione congiunta, nella preoccupazione di salvarci dall’affanno. Non è questa la strada intrapresa dalla Consultazione: il rilancio della missione deve cominciare da ciò che siamo, e da ciò che siamo chiamati a essere. Uniti dalla nostra storia, e uniti nel cammino da affrontare; aperti ai quartieri, alle città, e non chiusi nelle nostre paure. Un giovane richiama tutti alla passione di uscire dalla chiesa per incontrare le persone in giro per la città, e dare loro un pasto caldo. Un bel progetto della chiesa metodista di Milano, che ha saputo, tramite questa azione di testimonianza, aggregare ulteriori amici e compagni di strada per portare sorrisi, parole e ristoro ai più disagiati per le vie meneghine. 

E ancora, quante pluralità arricchiscono oggi le nostre chiese? Quella tra chi da generazioni è italiano, tra chi è arrivato da migrante, e chi è nato in Italia da famiglie migranti. Le chiese ci vedono tutti insieme celebrare il culto, cantare, leggere la Bibbia, frequentare il gruppo giovani e le scuole domenicali. Sedute in consultazione due persone: un nonno, giunto dal Ghana anni fa, ascoltatore attento del dibattito in assemblea, seppur in difficoltà per il suo italiano ancora oggi stentato. Non è stato facile per lui seguire i lavori. Un nipote, solo poche sedie più in là, nato in Italia da famiglia ghanese, laureato in economia, che descrive con accento emiliano, e con entusiasmo, le attività della sua comunità; richiamando tutti a essere coraggiosi nella testimonianza delle chiese per le città. 

Questo è l’incarnarsi della comunità che sa essere chiesa insieme, e sa anche attendere che i tempi maturino; curando la crescita del seme; sapendo non abbattersi nelle difficoltà che si incontrano in questo processo; e che ha fiducia nell’opera dello Spirito, e, sia detto con gratitudine, ne vede anche i frutti. Specialmente nei giovani: erano un bel gruppo, alla Consultazione, tra pastori, candidati pastori, membri di consigli di chiesa e di circuito; impegnati e rispondenti, ciascuno secondo i propri doni, alla chiamata al servizio. Disciplinati anche se, sia detto per inciso, qualcuno ha fatto le ore piccole il sabato sera chiacchierando al bar di Ecumene. Ma, come si dice, «so’ ragazzi».

La riflessione si è così sviluppata con franchezza, in un clima sereno e ottimista. Conscia delle difficoltà e della necessità di «fare quadrato» per affrontare le fragilità, la componente metodista, consapevole che il momento di crisi non è certo passato, e che i numeri e le forze all’interno delle chiese soffrono da tempo di una certa debolezza, ha saputo leggere anche i doni dello Spirito: sono riconoscibili i segni dell’opera della grazia, in termini di vocazioni e di dedizione alla testimonianza! Una presenza convinta, portata avanti nelle chiese, nelle città, seppur modesta e sobria: è questa dimensione però la forza delle nostre chiese. Chi ha saputo quest’anno aprire le porte per dare un primo rifugio a chi si trovava, rifiutato da tutti, per strada; chi ha lavorato per decidere nuovamente, ancora una volta insieme, cosa significhi una chiesa semper reformanda.

Riprendere da tutto questo lo sguardo sul «chi siamo» è la via che abbiamo di fronte: implementare i doni che troviamo nel nostro cammino; unirci laddove la debolezza ci coglie, tutte e tutti insieme, come un unico corpo; percepirsi come missionari nel Paese a partire dalla scelta felice di quarant’anni fa di unire storie, teologie e identità in nome di una chiamata comune di testimonianza dell’Evangelo. In tal senso va letto il versetto guida della relazione del Comitato permanente, tratto dalla Lettera ai Romani, al capitolo 8, «Poiché sappiamo che sino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi che abbiamo le primizie dello Spirito». 

Una Parola forte di consapevolezza del mondo, della storia e della natura; una parola che ci guida e vivifica oggi come allora, e che ispira la testimonianza che, e questo è davvero appassionante, ancora ci attende.