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Il Governo contro la legge anti-moschee del Veneto

Il 31 maggio il Governo ha deciso di impugnare la legge veneta definita “anti-moschee”, che attraverso dei vincoli urbanistici ostacola l’apertura di nuovi locali di culto. Secondo il Consiglio dei Ministri la legge viola il principio di uguaglianza di fronte alla legge, la libertà religiosa e il diritto a esercitare il culto. A febbraio la Consulta aveva dichiarato in parte incostituzionale la legge della Regione Lombardia, molto simile a quella veneta. Ad aprile i deputati Lacquaniti e Chaouki hanno presentato un’interpellanza al Ministero dell’Interno, e a maggio la deputata Rostellato ne ha presentata una analoga al Governo. Dopo l’impugnazione si aspetta ora il parere della Corte Costituzionale. Ne parliamo con l’on. Luigi Lacquaniti, firmatario di entrambi i procedimenti giuridici.

Un percorso immaginabile, visto il risultato in Lombardia, o un caso particolare?

«Era un percorso che immaginavamo: sapevamo che il Veneto stava preparando una legge di questo tipo e abbiamo presentato subito l’interpellanza parlamentare: con quella successiva di Rostellato il 13 maggio, abbiamo discusso il tema in aula di fronte al sottosegretario Baretta. In quell’occasione il Governo, pur non dicendo che avrebbe impugnato la norma, nella risposta in aula aveva fatto capire che sarebbe stato questo l’esito, facendo riferimento alla legge della Lombardia, che di fatto violava la libertà religiosa. Si tratta di leggi apparentemente urbanistiche, ma in realtà l’obiettivo a cui puntano è andare a colpire indiscriminatamente tutte le confessioni religiose al di fuori di quella cattolica, prescindendo anche dall’esistenza di Intese con lo Stato pregresse. L’obiettivo non era dare una regolamentazione urbanistica ma impedire l’apertura di nuovi luoghi di culto: nel dibattito che ha preceduto l’approvazione della legge, alcuni assessori hanno chiaramente fatto riferimento alla natura ideologica di questa legge».

Chi si occupa di questioni religiose guarda a un punto preciso per la radice di questo problema: l’assenza di una legge sulla libertà religiosa. Che ne pensa?

«Sì, è il nostro peccato originale: abbiamo dei principi che sono costituzionalmente sanciti in materia di libertà religiosa, ma il legislatore in 70 anni di Repubblica non è mai intervenuto in maniera organica a disciplinare e riconoscere questo tema, se non in maniera episodica. Ci troviamo fermi ad un impianto legislativo del fascismo: non è un caso che il Governo, impugnando la legge della regione Veneto, faccia riferimento ad articoli ben precisi della Costituzione, come il 2, il 3, o l’8: sono principi intoccabili, al cuore stesso della nostra storia e della nostra Repubblica. Noi deputati e senatori sensibili a questo tema ci siamo trovati più volte insieme a rappresentanti delle comunità islamiche, della Tavola Valdese o delle comunità evangeliche per definire l’impianto di una nuova legge organica che permetta di superare questa situazione. Una commissione diretta dal professor Zaccaria, ha lavorato proprio su questo. I tempi non ci sono più, forse, in questo anno e mezzo di legislatura, ma non dispero. Con accordi fra i partiti, perché al di là della Lega e Fratelli d’Italia sono tutti sensibili a questo tema, credo che ci siano ancora i tempi. Vedremo cosa succederà».

Ci sono altri ostacoli?

«Il professor Zaccaria mi ha detto che la bozza è pronta e potrebbe essere depositata già nelle prossime settimane. Non vedo ostacoli di ordine politico, abbiamo trovato un’adesione a questi intenti dalle altre forze politiche, con le eccezioni già dette. Penso che i tempi siano maturi, ma le legge ha una certa dimensione che richiede una discussione diffusa, dunque i tempi sono davvero il problema principale per l’approvazione di una legge quadro».

Questo tipo di gestione del problema religioso quali conseguenze ha?

«È una gestione che fa leva sulla paura e che in questi ultimi mesi si è sviluppata ulteriormente: di fronte alla paura è giusto che le amministrazioni lavorino per garantire la sicurezza a tutela di tutti, ma questo non dev’essere cavalcato per motivi ideologici. Anche la Liguria sta preparando una legge di questo tipo. Per rispetto delle vittime del terrorismo, occorrerebbe maneggiare queste tematiche con cura e attenzione: il fanatismo non si sconfigge vietando alle persone di professare la propria fede, perché si rischia di raggiungere l’obiettivo opposto. Se si escludono le persone si rischia di creare un’ambiente favorevole all’arruolamento di nuovi fondamentalismi. Il nostro futuro, credo, è multietnico, di culture che dialogano e collaborano senza rinunciare alle proprie tradizioni. Vediamo di fare norme che facilitino tutto questo. La libertà di culto fa riferimento a un diritto che è iscritto nel cuore dell’uomo: tutti crediamo in qualcosa, che sia un dio o un’idea. Non possiamo impedire alle persone di esprimere questa chiamata interiore».