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Il meticciato ci salverà

Ho sempre amato i festival, preferendoli ai convegni accademici che pur sono necessari e complementari; soprattutto quei festival che hanno un programma ben concepito e che rispondono a logiche rigorose di qualità dei contenuti. Questo favorisce il dibattito, la circolazione e la condivisione critica di idee sia tra chi detiene il potere e i cittadini, sia – in modo più orizzontale – tra persone che si incontrano nelle loro diversità di opinione. Le occasioni di scambio e discussione sono molteplici: facendo le code, aspettando l’inizio di un evento, mangiando assieme in un bar, in piazza guardando un intervento su grande schermo. Tutto questo esprime anche un modello di formazione continua che non è mera formazione professionale impartita attraverso sessioni di aggiornamento scollegate dal contesto di lavoro, ma è una immersione in campi del sapere e della ricerca di cui si conosce poco e che in questo modo diventano più accessibili, veicolati attraverso diversi linguaggi, permettendo un arricchimento critico delle coscienze, secondo una circolarità che è tipica delle democrazie occidentali, in crisi dappertutto.

Il Festival dell’economia di Trento, arrivato all’undicesima edizione (2-5 giugno), è tra i più prestigiosi e mi ha fatto ricordare quando, alla metà degli anni Ottanta, gli antropologi culturali cominciavano a ragionare – in Italia e all’estero – sulla possibilità di un’alta divulgazione delle scienze sociali in convegni in parte aperti al grande pubblico, abbinando sessioni tematiche e proiezioni di film. Il Festival dell’Economia di Trento è la piena realizzazione di quei timidi tentativi di allora e quest’anno ha riflettuto in modo articolato e complesso su “I luoghi della crescita”.

Si è parlato molto di contesti urbani, di agglomerazione e dei cambiamenti che investono le città nei diversi continenti, di processi di inurbamento e di migrazioni internazionali, all’interno di un quadro più generale volto ad affrontare l’intreccio tra cultura, economia e sviluppo che si legano inevitabilmente con altre due parole chiave: formazione e ricerca. Insomma, un’occasione preziosa per pensare e ripensare anche il rapporto tra le aree metropolitane e le aree decentrate come la montagna e chiedersi quali sono i bisogni dei cittadini contemporanei per cui i nuovi media, la finanza e la globalizzazione presentano elementi minacciosi e disgreganti che ci hanno portato alla crisi di questi anni, ma che – a seconda del modo in cui alcuni strumenti vengono utilizzati – possono davvero favorire la qualità della vita, il miglioramento dei servizi, persino il ripopolamento di zone che si erano svuotate o di aree dismesse che vengono nuovamente fruite in modo positivo.  E vi sono già esempi in tal senso. In altre sezioni si è anche parlato di relazioni umane e di come sia importante, in questa fase di transizione e di crisi umanitaria, prendersi cura degli altri in modo inclusivo e costruire ponti, tra le culture e le differenze: la cultura cioè declinata al plurale e in quell’intreccio che solo il meticciato e la contaminazione reciproca possono generare, attraverso visioni creative. Molto interessante è stata la riflessione critica sul ruolo del giornalismo di qualità ed investigativo per scuotere le coscienze e scardinare vecchi e nuovi stereotipi o luoghi comuni sui problemi d’attualità.

Oltre a docenti universitari italiani e stranieri, un Premio Nobel, rappresentanti di organismi internazionali, diversi ministri e sindaci di importanti città e di centri minori, erano presenti anche architetti di fama mondiale, economisti, imprenditori, giornalisti e funzionari pubblici che combattono quotidianamente mafia e corruzione. Tutti ad interrogarsi su come favorire una crescita che non è solo economica ma anzitutto culturale. I contenuti espressi nelle varie sessioni sono tantissimi e possono essere scaricati dal sito (http://2016.festivaleconomia.eu) che ha anche trasmesso tutte le dirette in streaming. Ecco un buon uso della tecnologia!

Tre eventi mi hanno colpito particolarmente: la splendida lezione di Adriano Prosperi, che a Trento ha parlato di conflitti religiosi, migrazioni e crescita mettendo in luce il contributo dei profughi ebrei e protestanti al bene delle città in cui erano approdati. Ho poi apprezzato l’intervento del ministro Gentiloni sulla crisi dei profughi che ha fornito un quadro internazionale articolato e aggiornato, all’interno del quale ha parlato dei corridoi umanitari, il progetto d’avanguardia promosso da Tavola Valdese, Fcei e Sant’Egidio che si spera possa essere una buona pratica da portare avanti su più ampia scala, come accennato anche negli interventi dei rappresentanti di Unhcr e Iom. Nella serata di sabato 5 giugno, Marco Baliani e Lella Costa hanno presentato “Il Canto dei profughi”, un racconto sul progetto “Human”, uno spettacolo di teatro narrativo che si interroga sulle dolorose esperienze migratorie dei profughi, con echi antichi come nel mito di Ero e Leandro, due giovani separati dal mare ma legati da una vicenda struggente e tragica eppur colma di forza e di speranza. Lo spettacolo ci interroga sul nostro grado di umanità che sta raggiungendo il limite della sua negazione: uno straordinario esempio di teatro narrativo a più voci, di grande suggestione e impatto.

Speriamo che il Festival possa proseguire l’anno prossimo continuando ad offrire nuove sfaccettature per questi drammatici e rilevanti problemi del nostro tempo, in cui però vi è sempre una connotazione positiva da cercare e da scoprire, nella fiducia e nella creatività che nuovi progetti e sperimentazioni sono possibili. Per un futuro migliore per tutti.

Foto: By Jakub HałunOwn work, GFDL, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16101828