schermata_2016-05-31_alle_10

Paolo Paschetto: la Repubblica, il suo emblema, i suoi valori

Nell’ambito delle manifestazioni nazionali dedicate alla Repubblica, mercoledì 1° giugno si svolge nell’aula sinodale della Casa Valdese di Torre Pellice, un incontro dedicato alla figura dell’artista valdese Paolo Paschetto. La particolarità dell’incontro sta negli organizzatori: la chiesa valdese con la Fondazione Centro Culturale Valdese e il Grande Oriente d’Italia, Collegio Circoscrizionale Piemonte e Valle d’Aosta.

Prendendo spunto dalla figura dell’illustratore valdese Paolo Paschetto, autore dell’emblema dello Stato italiano, si svilupperà una riflessione intorno al tema dei valori della Repubblica, al percorso di stesura della nostra Costituzione, all’impegno delle istituzioni religiose e filosofiche, per la costruzione di uno Stato laico, tollerante e solidale.

Abbiamo chiesto a Daniele Jallà, della Società di Studi Valdesi e nipote dello stesso Paschetto, di raccontarci la figura del nonno: «Artista a tutto campo, decoratore d’interni, pittore, incisore, grafico editoriale, ma soprattutto insegnante dell’Accademia delle Belle Arti di Roma. Qui arrivò giovanissimo, per sua scelta, ma anche in opposizione al volere del padre, Enrico Paschetto, pastore battista e insegnante di lingue antiche alla facoltà di teologia metodista e battista, che non approvava la passione del figlio, temendo un ambiente poco consono per la sua crescita culturale».

Paolo Paschetto è conosciuto per essere stato l’ideatore del simbolo della Repubblica Italiana. Com’è nato il simbolo?
«Quando ci fu il concorso per la scelta dell’emblema si presentarono ben 341 candidati: Paschetto passò il primo vaglio dei 25, poi arrivò nei primi 5 e fu scelto il suo logo. La Costituente non era però convinta della prima bozza a colori: la cinta turrita circondata da vegetazione venne denominata “la tinozza”. Ne nacquero molte discussioni e alla fine si decise, tramite un avviso alla radio, di istituire un nuovo concorso. Questa volta parteciparono 196 artisti e nuovamente Paschetto risultò uno dei 12 prescelti e il vincitore definitivo: un logo con le scritte Unità e Libertà, al centro un martello con un ala e le Lettere R e I, a destra un ramo di quercia e a sinistra un ramo di ulivo. A questo punto gli vengono richiesti dei cambiamenti molto precisi: si passa dal martello alla stella, viene inserita sullo sfondo una ruota dentata che rappresenta il lavoro, il ramo d’ulivo diventa d’alloro e spariscono le scritte Unità e Libertà a favore di Repubblica Italiana. Questa è la storia di com’è nato il simbolo della nostra Repubblica».

È stata data anche una lettura massonica al simbolo della Repubblica.

«Ricordiamoci però che se a lui si deve la mano dell’esecuzione, tutto il programma iconografico e d’ideazione è stato dettato dalla Costituente e dalla sua commissione. Certo che se si prendono gli elementi simbolici, uno ad uno, si possono affiancare innumerevoli significati simbolici, molto diversi tra loro e volendo anche massonici. Ma in realtà non credo che ci fosse alcuna intenzione di simbologia particolare dietro l’ideazione di quello stemma».

Ai giorni nostri quanto è forte l’interesse per Paschetto e per lo stemma italiano?

«Più che per il nonno e il simbolo da lui disegnato, credo che l’interesse principale sia nei valori che la Costituzione porta con sé, si vuole cercare di capire quali furono i valori che confluirono nella costituzione. Recuperare il senso di quegli anni significa anche recuperare un dibattito, un confronto politico alto, su valori e non questioni di piccolo conto: ricordiamoci che nell’assemblea costituente si scontrarono visioni dello Stato Italiano molto diverse, ci furono dei compromessi ma anche delle confluenze. Il simbolo della Repubblica e il suo autore vengono preso a riferimento a volte anche per ricostruire un confronto tra due mondi molto diversi, quello valdese e quello della massoneria italiana, che rappresentano storicamente un fronte avanzato della laicità».

Daniele Jallà conclude l’intervista con una precisazione finale: «Il nonno non è stato massone. Una convinzione famigliare basata sui fatti ha trovato riscontro negli archivi della massoneria italiana: il suo nome non figura negli elenchi degli iscritti».

Il programma dell’incontro del 1° giugno, con inizio alle 18, prevede il saluto della presidente della Fondazione Centro Culturale Valdese Erika Tomassone, gli interventi dii Daniele Jallà della Società di Studi Valdesi, Marco Novarino dell’Università degli Studi di Torino e direttore del Centro Ricerche Storiche sulla Libera Muratoria di Torino, Stefano Bisi Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese.