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Non mi dai la mano, paga la multa!

Il cantone svizzero impone a due bambini siriani, figli di Imam, l’obbligo di stringere la mano alla professoressa, pena una multa di 5mila franchi svizzeri. Davvero? Lo abbiamo chiesto al giornalista e direttore di Voce evangelica, Paolo Tognina.

In aprile A., 16 anni e N.,14 anni, due ragazzini musulmani di origine siriana – figli di un Imam siriano della moschea Faysal di Basilea, rifugiato politico nel paese elvetico dal 2011 –, rischiano una multa per non aver stretto la mano alla loro professoressa. Questa la notizia uscita qualche tempo fa. Oggi quella del provvedimento entrato in vigore. E così?

«Il fatto dei due alunni era emerso casualmente in occasione di un dibattito televisivo sul ruolo dell’Islam in Svizzera facendo scaturire un indagine per capire cosa fosse successo realmente. Il Dipartimento per la formazione l’istruzione e lo sport, che ha emesso il provvedimento ora in vigore, per ora non ha comminato nessuna multa ai due ragazzi. Il Dipartimento ha effettivamente emanato un regolamento nel quale si dice che vi è l’obbligo per gli allievi delle scuole cantonali di Basilea di porgere e di stringere la mano al proprio docente, uomo o donna che sia, pena un richiamo, l’ammonizione, un colloquio con i genitori, e in un secondo momento addirittura una multa dell’importo di 5000 franchi svizzeri (4500 euro). Dunque è vero che il regolamento è entrato in vigore in questi giorni ma non è ancora stato applicato».

«Darsi la mano fa parte delle tradizioni culturali della Svizzera», ha commentato la ministra della Giustizia Simonetta Sommaruga.

«Simonetta Sommaruga, consigliera federale, è ministra del governo federale svizzero e giustamente sostiene il provvedimento emanato. Tuttavia non è vero che in tutta la Svizzera è usanza stingere la mano al docente, succede solo in alcuni Cantoni come quello di Basilea, appunto».

Intorno al caso si è creato però un dibattito mediatico, culturale e sociale?

«In un primo momento la scuola secondaria di Therwil nella località di Basilea Campagna, dove è avvenuto il fatto, aveva trovato una soluzione pragmatica dicendo che per questo caso specifico, e unico per ora, a questi due ragazzi veniva dato il permesso di non stringere la mano all’insegnante, uomo o donne che fosse. La direzione scolastica aveva promosso colloqui nell’istituto tra docenti sia insieme alla famiglia degli alunni e particolarmente con il padre, un Imam molto conservatore. Gli sviluppi si sono avuti in seguito dopo il clamore televisivo diffuso dal programma della svizzera tedesca Arena».

Per quale motivo si è deciso di far emergere il caso in tv?

«Sono stati i giornalisti a far esplodere il caso con ricerche e aprendo di fatto il dibattito mediatico, giunto sino alle forze politiche del paese, divenuto poi caso politico. L’Unione democratica di centro e le formazioni di destra che vi gravitano intorno hanno utilizzato poi l’esempio dei due ragazzi per dimostrare quanto i musulmani non siano in grado di integrarsi nel tessuto sociale svizzero. Dall’altra parte il Consiglio centrale islamico, gruppo numericamente poco significativo, ma mediaticamente molto presente per la sua radicalità, si è prontamente speso per sostenere quanto la società svizzera fosse a sua volta intollerante. La Federazione delle organizzazioni islamiche in Svizzera, una delle due più rappresentative organizzazioni musulmane del paese, ha per parte sua prontamente pubblicato un breve studio teologico nel quale si dice espressamente che non vi è nessun obbligo o problema, per un musulmano, nel dare la mano ad un uomo o una donna».

Dunque, tanto rumore per nulla?

«Dal piccolo caso di Therwil ognuno ha sviluppato il suo filone di discussione: religioso, di regolamentazione scolastica, vessillo ideologico o come bandiera politica. Tra i musulmani c’è poi chi ritiene il regolamento giusto ed altri che invece lo ritengono troppo severo».

Lasciando da parte il regolamento, secondo lei, è giusto imporre una stretta di mano?

«A Basilea ci si è interrogati se fosse giusto o meno imporre la stretta di mano e se questa, in qualche modo, potesse ledere la libertà religiosa. Si è giunti alla conclusione che stringere la mano ad una persona non lede in alcun modo la libertà religiosa. Tuttavia, ritengo dal punto di vista pratico che sia un’idea non particolarmente felice. Imporre qualcosa non è mai una buona idea. L’adolescenza è una fase della vita molto particolare e molti pedagogisti hanno affermato che in quella fase dalla vita vi è una difficoltà legata al contatto fisico».

Qual è oggi lo stato di salute del dialogo interreligioso in Svizzera?

«Il dialogo in Svizzera funziona davvero molto bene. Ho seguito domenica scorsa il Treno delle religioni: manifestazione che con un convoglio ferroviario ha voluto festeggiare i dieci anni di nascita del Consiglio svizzero delle religioni che mette insieme ebrei, musulmani e cristiani. Il dialogo tra le grandi organizzazioni religiose e quelle confessionali è in continua evoluzione e anche la base funziona bene. L’integrazione, l’inclusione e l’interazione che caratterizza la multiculturalità in Svizzera, ne sono l’esempio».