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Pannella: «essere speranza» piuttosto che avere speranza

Essere speranza, piuttosto che avere speranza: la vita di Marco Pannella (una vita di battaglie, lotte, passione, amore, incontri con i potenti e, soprattutto, con gli ultimi) non è facilmente riassumibile eppure in queste poche parole, in questa sua rilettura personale del celebre «Spes contra Spem» dell’apostolo Paolo (Romani 4, 18) possiamo racchiudere l’essenza della sua vita.

La sua vita (che si è spenta giovedì 19 maggio dopo una lunga malattia) è stata proprio questo: cercare di «dare corpo» alle sue battaglie per i diritti civili (divorzio, aborto, obiezione di coscienza, testamento biologico fino alla lotta contro la pena di morte e, ultimamente, il diritto alla conoscenza e via dicendo) e alle sue speranze, che poi erano le speranze degli ultimi, dei discriminati, dai carcerati agli omosessuali; dalle donne che abortivano clandestinamente agli immigrati, dai drogati ai bambini africani flagellati dalla fame. Un dare corpo spesso letterale, utilizzando i digiuni di fame e sete, prove fisiche dure, ma mai forme di protesta, invece strumenti di proposta e di dialogo sempre all’insegna dell’impegno nonviolento.

Da sempre anticlericale eppure (anzi, forse proprio per questo) così intensamente appassionato di spiritualità e religioni: amico personale del Dalai Lama, Pannella aveva un rapporto fraterno con papa Francesco, ma anche con Giovanni Paolo II, si interessava di ebraismo e di Islam e mostrava spesso attenzione e ammirazione per il mondo protestante.

Tante (certo, non tutte) le battaglie che hanno visto protestanti e Pannella come alleati (spesso inconsapevoli, o, comunque, separati): i diritti delle donne, degli omosessuali, la difesa dei diritti dei carcerati, solo per citarne alcune. A Natale, Capodanno, Ferragosto e Pasqua, quando non era impegnato in qualche marcia (per i diritti civili, la giustizia, la lotta alla fame nel mondo) Pannella, insieme a dirigenti e militanti radicali, andava in carcere, passava le feste con i detenuti: anche il 25 dicembre 2015, l’ultimo Natale della sua vita, ha passato la giornata nel carcere di Sollicciano («fui in prigione e veniste a trovarmi», Matteo 25, 36). Nel 2005 fece una conferenza stampa, insieme ad altri leader radicali, per annunciare di voler devolvere l’8xmille alla Chiesa valdese.

Personaggio controverso, imprevedibile, discusso e spiazzante: di certo Pannella non era banale e, a suo modo, anche con i suoi errori, ma sempre con passione, era dalla parte degli emarginati, si definiva un estremista emarginato. «Ma io sono un cornuto divorzista – diceva di sé in un’intervista a Panorama nel 1975 –, un assassino abortista, un infame traditore della patria con gli obiettori, un drogato, un perverso pasoliniano, un mezzo-ebreo mezzo-fascista, un liberalborghese esibizionista, un nonviolento impotente. Faccio politica sui marciapiedi».

Di lui (come ha ricordato anche Gian Mario Gillio in un’intervista su Confronti) Giorgio Spini disse parole forti, importanti in occasione di un convegno sul concordato, i cui atti sono stati raccolti nel libro Le sbarre del Concordato del 1973. «Pannella – disse Spini in quell’occasione – è considerato alla stregua di un lebbroso. Sono convinto che uomini, come Marco Pannella, sono stati scelti come strumento di Dio per fare vergognare la mia chiesa evangelica, le sue infinite mancanze di coraggio e le sue infinite mancanze di coerenza. Noi abbiamo fatto un giorno di digiuno, all’ultimo sinodo evangelico, per protesta contro l’incarceramento degli obiettori di coscienza; l’abbiamo fatto una volta! Pannella ci ha dato l’esempio di una vita spesa e bruciata intensamente, pagando duramente di persona. L’ha mandato Iddio sulla nostra strada per insegnarci che è così che dobbiamo fare e lo ringraziamo del sermone che egli, probabilmente senza accorgersene, ha predicato».

Foto By Photo by User:JollyrogerOwn work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9847407