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Un presidente sceriffo

Davao, città filippina con oltre un milione di abitanti, era fra i luoghi più violenti e pericolosi al mondo.

A fine 2015 è diventata la nona città più sicura sul pianeta, con tassi di legalità assai elevati. Il merito va a chi ha guidato la città per ben 7 mandati, a partire dal 1988, Rodrigo Duterte, che lascerà presto la poltrona di primo cittadino per quella ben più importante di presidente della grande nazione asiatica, 100 milioni di abitanti sparpagliati in oltre 7 mila isole. E una volta insediatosi – la cerimonia ufficiale si terrà il 30 giugno – promette di replicare il modello di legalità che lo ha reso un sindaco celebre. Celebre purtroppo per i suoi modi spicci, spesso ben oltre il limite di legge, intesa come strumento da piegare e utilizzare a proprio piacimento, sorta di sceriffo del West con ampio mandato.

Sono infatti migliaia gli omicidi sommari commessi dagli squadroni della morte a lui fedeli, in totale disprezzo di ogni regola democratica e giudiziale. Con il bastone e il terrore ha pacificato l’area, a prezzo per l’appunto di un numero elevatissimo di vittime (almeno tre uccise da lui stesso come ammesso in una recente intervista), che gli sono costate le accuse sia delle Nazioni Unite che dell’organizzazione non governativa Humans right watch che in svariate occasioni hanno avuto modo di stigmatizzare le gesta di Duterte.

Ma i cittadini lo hanno appena clamorosamente premiato alle elezioni, evidentemente privilegiando l’immagine di uomo forte rispetto a qualsiasi altra possibilità. Bisogno di legalità che a queste condizioni rischia però di far rima con terrore e repressione, ma the punisher, il castigatore, come eloquentemente soprannominato da amici e detrattori, non pare indietreggiare di un passo se è vero che sono di ieri le dichiarazioni volte a ripristinare la pena di morte nelle Filippine, sospesa nel 2006, e di ampliarne l’utilizzo anche per punire reati quali il traffico di droga e le violenze sessuali: «Chi distrugge le vite del mio popolo sarà ucciso. Chi distrugge le vite dei miei bambini sarà distrutto. Nessun compromesso, nessuna scusa» sono le parole utilizzate in conferenza stampa per motivare il ritorno alla pena capitale, gelando anche i pochi che ancora pensavano che una volta eletto a presidente non avrebbe potuto replicare la politica del pugno duro utilizzata in qualità di sindaco.

Le Filippine sono un arcipelago a forte maggioranza cattolica, con una discreta e attiva presenza protestante: filippino è ad esempio Efraim Tendero, dal marzo dello scorso anno segretario generale dell’Alleanza evangelica mondiale, la rete di 120 alleanze evangeliche nazionali che raggruppano circa 500 milioni di fedeli nel mondo.

Tendero in compagnia di Noel Pantoja, attuale direttore del Consiglio filippino delle chiese evangeliche (raggruppamento che fa parte del Consiglio ecumenico delle chiese e che raggruppa circa 33 mila chiese locali nella nazione), nei mesi scorsi, in piena campagna elettorale, avevano resa pubblica una lettera da loro rivolta proprio a Duterte, con ampie esortazioni affinché una volta eletto potesse smussare il proprio atteggiamento: «Tutte le nostre azioni saranno pesate da Dio, ma il pubblico e il mondo religioso sono preoccupati di come potrà gestire il ruolo di leader.
Mentre si pretende di parlare la lingua delle masse, i commenti, le osservazioni, le battute e le espressioni verbali saranno ascoltate in tutto il mondo in quanto primo rappresentante di tutti i filippini. Per cui ogni parola andrà ponderata perché in grado da sola di fare il bene o il male del nostro amato paese» si legge nella lettera , che si conclude con le citazioni di Matteo 11 «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!» e Matteo 18-20 «Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l’uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l’uomo».

Il primo atto dovrebbe concretizzarsi in una massiccia operazione militare contro i terroristi islamici del gruppo Abu Sayaf, che sta terrorizzando il Sud del Paese con vari sequestri di persona. Saranno forse i primi a testare la politica del pugno duro di Duterte.