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Il Gambia al collasso, fra crisi economica e repressione degli opposizioni

Un piccolo paese e il suo eccentrico presidente sono di nuovo in fibrillazione. Sedicente curandero, affabulatore, acerrimo nemico dei gay ma difensore (almeno a parole) della libertà delle minoranze religiose di professare la propria fede, Yahya Jammeh si è speso in favore delle donne vietando la pratica dell’infibulazione nel Paese e permettendo loro – salvo qualche ripensamento sul dress code delle impiegate pubbliche, a cui ha cercato di imporre il velo, provvedimento poi ritirato – di vestirsi come vogliono. Eccentrico e volubile ma soprattutto sanguinario. Dopo aver proclamato il Gambia nazione islamica lo scorso dicembre, Yahya Jammeh infatti continua a farsi notare per l’uso massiccio della tortura e la disinvoltura con cui reprime gli oppositori politici. Lo scorso aprile ha fatto arrestare, insieme ad altre 25 persone che manifestavano per chiedere maggiore trasparenza e una riforma del sistema elettorale, Ebrima Solo Sandeng, leader giovanile dell’United Democratic Party, uno dei principali partiti dell’opposizione, di cui non si è saputo più nulla. Le carceri del Paese, come è stato sottolineato più volte anche da Amnesty International, sono un inferno dantesco il cui ingresso è stato più volte negato agli ispettori delle Nazioni Unite e dove è facile immaginare che i diritti umani siano lettera morta. A preoccupare è un’escalation della repressione in vista delle elezioni del prossimo primo dicembre, soprattutto ora che Jammeh rischia di non venire rieletto, proprio per le violenze accumulate negli anni e la crisi economica che divora il paese, a cui si aggiunge la corruzione endemica. La probabile morte di Sandeng, condannata anche all’estero, è solo l’ultimo caso di una lunga scia di uccisioni indiscriminate: numerose sono le testimonianze di leader politici, studenti, attivisti, giornalisti arrestati e torturati dalla National Intelligence Agency, per non parlare della grave situazione di pericolo in cui sono costretti a vivere omosessuali e transgender, soprattutto dopo la recente approvazione della legge che introduce il reato di “omosessualità aggravata”, per il quale è previsto addirittura l’ergastolo. A tutto questo si aggiunge la costante tensione ai confini con il Senegal, dove sono state rafforzate le misure di controllo alla frontiera, soprattutto nella regione della Casamance, dove da anni è vivo un focolaio di resistenza contro il governo di Dakar.

Alla luce di questi dati, non stupisce che siano stati più di 8.500 i gambiani che, nel 2014, hanno presentato domanda di protezione internazionale in Italia; nel 2015 il Gambia è addirittura diventato il secondo Paese di origine, dopo la Nigeria, dei richiedenti asilo nel nostro Paese. Domande di asilo che molto spesso vengono respinte perché avanzate da persone considerate “semplici” migranti economici: in alcuni casi addirittura viene immediatamente notificato loro un provvedimento di respingimento differito che di fatto li esclude da qualunque circuito di accoglienza. Proprio la scorsa estate, d’altronde, il governo italiano e quello del Gambia hanno stipulato un nuovo accordo bilaterale (dopo quello del 2010 voluto dal ministro Maroni per contrastare l’immigrazione clandestina) per il controllo dell’immigrazione via mare: le proteste delle organizzazioni umanitarie, che chiedono una risposta sulla sicurezza di uomini e donne in fuga da un regime dittatoriale, non hanno per ora avuto esito.

Foto: Di Jagga – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20930270