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Gli Ebrei di Lutero

«Il proposito che mi sono posto con questo mio libro è quello di una contestualizzazione storica. Si tratta per me di cogliere Lutero nel suo tempo e tra le voci dei suoi contemporanei. Non si tratta di dare un giudizio definitivo, morale o teologico, ma di interpretare in modo adeguato le affermazioni di Lutero». È questa la ragion d’essere de «Gli Ebrei di Lutero», l’ultima fatica dello storico tedesco Thomas Kaufmann, importata in Italia grazie all’editrice Claudiana (curatrice della prima traduzione estera) e presentata sabato scorso al Salone del Libro di Torino. Moderati dal responsabile della Claudiana di Milano Samuele Bernardini, sul palco del padiglione 1 sono saliti Daniele Garrone, docente alla Facoltà Valdese di Teologia e autore della prefazione al volume, e lo storico Adriano Prosperi, che già nel mese di marzo aveva partecipato agli incontri promossi dall’editrice Claudiana in vista del «Giubileo della Riforma».

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L’autore – che non è potuto intervenire di persona, affidando il suo intervento a un video trascritto e tradotto da Daniele Garrone – ha introdotto al dibattito tracciando ragioni e struttura della sua opera. «Ho dato al libro il titolo “Gli ebrei di Lutero” per chiarire fin dal principio che l’oggetto che io presento non è qualcosa di obiettivo. Gli ebrei di Lutero sono un miscuglio, un composito delle proiezioni, delle paure e dei risentimenti diffusi al suo tempo e dei dati biblici sull’ebraismo che egli fonde con i primi». Ferma restando l’appartenenza di Lutero al «brodo di cultura» dell’epoca, per quanto concerne la riflessione del Riformatore sul rapporto da intrattenere con gli ebrei di Germania, Kauffman individua due periodi: se il Lutero autore di Gesù Cristo è ebreo (1523) si distingue per «una posizione straordinariamente liberale» pronunciandosi «per un’accettazione incondizionata degli ebrei», vent’anni dopo, l’autore di Gli ebrei e le loro menzogne (1543) arriva a negare agli ebrei il diritto di permanenza in Europa – è proprio questo scritto al centro della riflessione sulla «ricezione di Lutero» al tempo del nazismo, oggetto del capitolo conclusivo. Tuttavia, specifica Kauffman, il radicale cambiamento di «visione politica» non intaccò la continuità teologica del Riformatore: «continuità per quel che riguarda la comprensione di Cristo e l’interpretazione dell’Antico Testamento». In estrema sintesi, tanto negli anni Venti quanto negli anni Quaranta del secolo della Riforma lo sforzo del monaco agostiniano fu uno solo: «convincere l’ebraismo del fatto che Cristo è il messia promesso dell’Antico Testamento».

Dalla lettura cristologica dell’Antico Testamento ha preso le mosse anche Daniele Garrone. Nel suo intervento egli ha premesso l’esistenza di un «caso Lutero» dovuto alla riscoperta postuma dei suoi scritti antiebraici, ma ha posto l’accento su due continuità necessarie ad un’interpretazione storica. La prima, indubitabile, di lungo periodo, è «la pesante eredità ecumenica dell’antigiudaismo millenario cristiano»; la seconda è la passione di Lutero per l’Antico Testamento. «Lutero conosceva l’ebraico, sosteneva che la Bibbia andasse letta in ebraico, tanto da circoscrivere ai libri in ebraico la “parola di Dio”»; tuttavia, ha spiegato Garrone, questo «pathos» era figlio dell’interpretazione cristologica della Bibbia ebraica: «Lutero leggeva in Genesi 3 il “primo Vangelo”, in Isaia 7,14 la “promessa della nascita virginale”; non sono interpretazioni inventate da lui, ad essere nuovo è il livore di questa battaglia finale tra Verità ed errore». Infine, per quanto riguarda la ricezione di Lutero nella Storia, Garrone si è chiesto provocatoriamente cosa penseremmo noi oggi degli scritti antisemiti di Lutero se non fossero esistiti l’Illuminismo, la ricerca storico-critica e la Shoah.

Per parte sua, Prosperi si è concentrato sulla parte finale del libro, dedicata alla ricezione dei posteri. Premettendo che «quando si studiano le origini dell’antisemitismo in Europa, più che la storia del ‘500 è in gioco la nostra Storia» lo storico toscano ha messo in luce come il nazismo non si sia impadronito solamente di Lutero, ma anche di Hegel e di tutta la cultura tedesca. «All’indomani della Seconda Guerra Mondiale storici come David Nirenberg hanno cercato di rinvenire l’antisemitismo nell’intera cultura Occidentale. Quest’operazione post-bellica – ha spiegato Prosperi – è più che controversa, perché corre il rischio di elevare i criminali dell’Olocausto ad eredi della più alta tradizione occidentale». Il pericolo, in buona sostanza, è quello di credere alla lettura nazista, avvallandone le tesi di difesa: «a Norimberga Julius Streicher disse “al mio posto dovrebbe esserci Lutero”: una lettura storica ideologica e deresponsabilizzante, su cui altri storici come Delio Cantimori misero giustamente in guardia». Secondo Prosperi «sul piano del conflitto confessionale non scopriremo mai nulla; il problema, oggi, è fare i conti con il fascismo rimasto». In conclusione, «storicizzare Lutero significa chiedersi perché Lutero scrisse quello che ha scritto – alla pari di tutti gli uomini, anche il Riformatore fu un contemporaneo della sua epoca – e riconoscere che l’interesse degli ideologi del III Reich era rendere Lutero compatibile al loro programma antisemita».

Come ricordato dallo stesso Kaufmann, nel novembre 2015 il sinodo della Chiesa evangelica in Germania ha pubblicato un documento in cui si afferma in tutta chiarezza che oggi, in Germania, nel protestantesimo, nessuno può approvare quanto espresso da Lutero contro gli ebrei. Una presa di posizione dovuta e inequivocabile, che non sminuisce, anzi rende ancor più importante lo studio genuinamente storico di uno dei padri della modernità.