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Leave or stay? Preghiamo per il referendum

Il 23 giugno i cittadini del Regno Unito dovranno scegliere se rimanere o meno nell’Unione europea. In questi mesi, segnati oltre Manica da diverse scadenze elettorali, il dibattito sulla permanenza in Europa sta spaccando a metà i sudditi di Sua Maestà, tanto che questa volta nemmeno i sondaggisti più affidabili azzardano una previsione. Al fronte del «sì» (ovvero a coloro che sostengono la permanenza del Regno nell’Ue) non mancano adesioni formali: per parte nostra, abbiamo già dato notizia delle prese di posizione della Chiesa di Scozia (cui si è aggiunta la Chiesa del Galles), della Federazione battista europea e di grandi personalità del mondo scientifico. Sull’altra sponda i sostenitori del «leave», politicamente rappresentati dal «movimento» di Nigel Farage ma sostenuti anche dall’ala oltranzista del Partito conservatore, annoverano forse meno «volti», tuttavia sembrano godere di un consenso più trasversale, per origine, età ed estrazione sociale.

Nel mezzo di questa tempesta, come ragionano i credenti britannici e qual è la posizione della Chiesa anglicana? Per quanto riguarda i primi, anch’essi radicalmente divisi, è esemplare il confronto tra Adrian Hilton – teologo, scrittore e pedagogo conservatore in servizio presso l’Università di Oxford – e Sarah Dickson, direttrice del Liberal Democrat Christian Forum: il primo vuole «uscire» da un’Europa senza legittimazione democratica, la seconda vuole «restare» ma in un’Europa non soltanto economica: entrambe le argomentazioni, riportate in traduzione da «Voce evangelica», brillano di contemporaneità, sprigionano «cultura europea». Per quanto invece concerne la posizione ufficiale della Chiesa d’Inghilterra, il cui capo supremo, non va dimenticato, è la Regina Elisabetta, la risposta è: né da una parte, né dall’altra. In attesa del voto, l’unica cosa che conta è pensare e dibattere con onestà e apertura.

Per farlo, la Church of England ha aperto il sito Reimagining Europe («ripensare l’Europa»), un blog volutamente neutrale che ispirandosi a quanto fatto nei mesi precedenti al referendum sull’indipendenza scozzese accoglie contenuti e commenti di segno opposto, in uno spirito di mediazione e riconciliazione. All’interno del sito c’è anche la possibilità di esprimere le proprie conclusioni: al momento hanno votato poche centinaia di persone, di cui quasi il 60% parteggia per la permanenza nell’Ue.

Sebbene, stando ai commenti online, la Chiesa anglicana venga generalmente percepita come silenziosa supporter dello «stay», la «preghiera sul referendum» divulgata in rete il 26 di aprile rimane aperta ad ogni interpretazione:

Dio della verità
concedici la grazia di dibattere i temi di questo referendum
con onestà e apertura.
Concedi generosità a coloro che informano,
discernimento a coloro che votano.
Che la nostra nazione possa prosperare
e che insieme alle genti d’Europa
noi possiamo lavorare alla pace e al bene comune;
per amore di Gesù Cristo nostro Signore.
Amen

Qualche settimana prima della pubblicazione di questa supplica, le esternazioni dell’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby, che riferendosi all’immigrazione crescente aveva definito «genuina» la paura degli inglesi e «oltraggiosa» ogni accusa di razzismo ai britannici, erano sembrate preludere ad una chiusura euroscettica della Chiesa di Stato. In realtà, in materia di referendum, l’Arcivescovo ha ribadito a più riprese la necessità di una «neutralità di riflessione» : «nessuno può affermare che Dio abbia indicato di votare in questo o quel modo», ha dichiarato a «The House», il settimanale del Parlamento inglese.

Il referendum del 23 giugno è stato convocato dal governo Cameron per non venire meno alla promessa fatta agli elettori prima del voto del 2015. A pungolare, da destra, il partito conservatore, è sempre stato l’UK Independence Party (Ukip) di Nigel Farage, leader indiscusso di tutti gli «euroscettici» sparsi sul continente e primo classificato alle europee del 2014, in uno storico terremoto elettorale. Secondo i promotori del referendum, nel 1973 il Regno Unito aderì a un mercato unico meno esteso e con meno poteri sulla vita quotidiana delle persone: alla luce dei cambiamenti apportati ai Trattati fondativi (Maastricht 1992, Lisbona 2007) e dell’allargamento a est seguito al crollo del muro di Berlino (da 12 a 28 stati membri), è necessario appellarsi nuovamente ai cittadini del Regno. Nell’immediato dopoguerra il Regno Unito non aveva creduto al progetto d’integrazione degli Stati europei, tanto che fondò l’Efta, un’area di libero scambio alternativa alla Comunità economica europea (Cee) nata a Roma nel 1957. La prima domanda d’adesione alla Cee Londra la presentò nel 1961. Al tempo gli stati membri erano soltanto sei (i fondatori: Francia, Germania ovest, Italia, Olanda, Belgio, Lussemburgo), ma per dodici anni non se ne fece nulla, perché De Gaulle pose un veto inflessibile all’ingresso del «cavallo di Troia degli americani». Era stato Harold Macmillan, un conservatore, a chiedere di unirsi al club europeo. Oggi sempre un conservatore rischia di dover negoziare l’uscita. Attenzione: suo malgrado. In campagna elettorale Cameron promise il referendum per arginare l’Ukip (operazione riuscita), oggi invece il premier in carica preferirebbe «stare», continuando a far pesare la linea britannica sui tavoli europei. Non si tratta, ovviamente, d’europeismo; ma di puro calcolo politico: quale governo del mondo lascerebbe volentieri un’istituzione in cui siede con potere decisionale? Non a caso per i federalisti europei, i «più europeisti di tutti», sostenitor di un’Europa politica e costituzionale, la Brexit non è uno scenario catastrofico. Anzi: senza il veto inglese a Bruxelles gli «Stati Uniti d’Europa» tornerebbero a essere quantomeno pronunciabili.

Per una panoramica dettagliata degli schieramenti, delle posizioni e delle argomentazioni interne al dibattito nazionale consigliamo ai nostri lettori anglofoni quest’esaustivo vademecum redatto dalla BBC: http://www.bbc.com/news/uk-politics-32810887.

Foto: By Dave Kellam – Flickr: Flagging Support, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20427155