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Un primo maggio del lavoro o senza lavoro?

Proprio oggi, a due giorni dalla festa del lavoro – celebrata in molte piazze e città italiane il primo maggio scorso – dal suo sito cesaredamiano.org, lei ha lanciato una petizione di raccolta firme a sostegno della flessibilità: «Agli anziani la pensione e ai giovani il lavoro», così si legge.
«Si tratta di un sostegno ad una proposta di legge, la 857 – di cui siamo i primi firmatari io e l’onorevole Maria Luisa Gnecchi – che chiede al governo maggior flessibilità: quattro anni di uscita anticipata con una penalizzazione del 2% all’anno, quindi in quattro anni l’8% e la possibilità di far andare in pensione i lavoratori precoci, coloro che hanno iniziato a lavorare a quindici, sedici anni, avendo operato con lavori degradanti e usuranti; chiediamo che questi possano godere della pensione al raggiungimento dei 41 anni di contributi versati, indipendentemente dalla loro età e senza alcuna penalizzazione».

In piazza San Giovanni a Roma e in altre piazze italiane si è festeggiato il primo maggio, la festa dei lavoratori, ma il lavoro per i molti giovani presenti sembrava essere purtroppo il grande protagonista assente. Una chimera? 
«Il Jobs act è stato certamente un investimento, 11 miliardi solo nel 2015, che ha portato a nuove assunzioni rendendole convenienti grazie al contratto a tutele crescenti. Il contratto migliore a mio avviso, perché più stabile e garante di una rete di tutele dei diritti. Ma se vogliamo che il Jobs act abbia davvero successo con il governo dovremo muoverci su due punti: il primo, far sì che gli incentivi possano divenire strutturali, stabili, non congiunturali, questo perché quando non saranno più disponibili le aziende torneranno ad assumere con contratti precari. In secondo luogo, dobbiamo limitare il pericoloso utilizzo dei voucher, che li vede oggi usati a sproposito. Il voucher è divenuto oggi espressione di come si possa rendere legalmente precario il lavoro. Per questo motivo ne chiediamo la tracciabilità, proprio per impedirne gli eventuali abusi. Chiediamo il ritorno allo spirito della legge Biagi del 2003: il voucher dev’essere utilizzato solamente per i lavori per i quali era stato pensato e introdotto, ossia lavori occasionali come quelli domestici, di giardinaggio, di cura famigliare e così via. Altrimenti questo strumento rischia di diventare penalizzante e sostitutivo dei contratti reali. Questo non è ammissibile».

Quando si parla di lavoro si danno sempre i numeri: assunti, disoccupati, precari. Quali sono i suoi numeri per fotografare l’Italia del lavoro di oggi?
«I numeri ci dicono e ci ricordano che i giovani sono i più penalizzati. Stiamo assistendo ad una forte disoccupazione giovanile. Numeri che dicono anche che, attraverso il Jobs act, c’è stato senza dubbio un impulso positivo al lavoro e alle assunzioni, un milione e cinquecentomila assunzioni accertate, parte delle quali sono state in realtà la trasformazione di lavori a progetto o a tempo determinato. Dunque non si può certamente parlare di nuove assunzioni. Ma il contratto a tutele crescenti accanto alla retribuzione oraria, che è sempre importante, ha affiancato tutele ai diritti dei lavoratori di carattere sociale: il diritto alla maternità, all’infortunio, alle ferie, la tredicesima, il trattamento di fine rapporto, gli scatti di anzianità.

Eppure l’assunzione incentivata dal Jobs act, con le tutele crescenti, in realtà rende il tempo indeterminato precario. Le procedure per il licenziamento sono state semplificate; il tempo indeterminato è oggi simile al tempo determinato o ai contratti a progetto di una volta. E così?
«E’ evidente che con l’introduzione del Jobs act è caduta l’ultima strenua difesa del cosiddetto articolo 18. Già l’articolo 18 delle origini, quello del 1970, era stato riformato nel 2012 con il governo Monti e la ministra Fornero. Dunque notevolmente indebolito. Per chiarezza dobbiamo dire che si può essere licenziati per motivi economici, anche quando questa motivazione è inesistente, l’unico diritto che ha il lavoratore è quello ad un risarcimento che è predeterminato dalla legge, due mensilità di servizio e che il licenziamento non può essere derogato dall’intervento del giudice. La licenziabilità nel contratto a tutele crescenti dunque esiste. Ma si dovrebbe credere e sperare che chi assume lo fa per fare un investimento sul futuro  nell’interesse della propria azienda».

Un altro annuncio ha scosso chi festeggiava il primo maggio nelle piazze italiane a suon di musica, quello dell’alto numero di morti sul lavoro. 
«Come ministro del Lavoro già nel 2008 con il decreto 81 avevo introdotto la disciplina per la sicurezza sul lavoro. Un decreto indebolito dal successivo governo di centrodestra. Dobbiamo non abbassare la guardia su questo tema e non far passare l’idea che nel tempo della crisi si possano chiudere gli occhi. Gli occhi vanno tenuti bene aperti. La prevenzione e la punizione, per chi non rispetta le regole nel nome di un presunto risparmio, sono certamente le misure da adottare. La vita dei lavoratore dev’essere messa davanti a tutto».

Cosa si sentirebbe di dire ai giovani di oggi?
«I giovani che sono lontani dalla politica devono avvicinarsi alla politica proprio per trasformarla,  devono entrare nei sindacati per difenderne le origini e far valere i propri diritti. I cattivi esempi che le istituzioni, la politica e i sindacati danno, devono essere contrastati e superati. Ci sono tanti esempi di buona politica, di buon sindacato e di buone istituzioni e a quegli esempi si deve guardare».

Cosa si sentirebbe di dire al governo oggi?
«Il maggior nemico in questo particolare frangente è certamente la difficile situazione economica. Se non si creano possibilità di ripresa, almeno del 2%, non si può pensare di produrre nuova occupazione. Solo attraverso lo sviluppo della ricerca, l’incentivazione all’innovazione, la decisione di fare nuovi investimenti sui giovani e la cultura, si potranno creare le basi per un futuro di occupazione. Chiederei al governo di non dimenticare che investimenti, sviluppo e tutele dei lavoratori, stanno alla base di una possibile ripresa per il nostro paese. Le leggi e le regole possono aiutare, ma non sono certamente sufficienti».