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Perseveranza e profezia

L’inchiesta di Potenza sui danni prodotti, in Basilicata e in Sicilia, da politici, «lobbisti» e aziende petrolifere è solo l’ultima di un’ondata di scandali che hanno investito il nostro paese (a Roma, Milano, Napoli ecc.) e ribadiscono che l’Italia, nella classifica della corruzione – relativa al 2015 – rispetto ai 28 paesi dell’Europa è la più corrotta; fa peggio solo la Bulgaria (Transparency International). Come ai tempi di Tangentopoli, la magistratura fa emergere in sede giudiziaria lo stretto intreccio tra malaffare e settori della pubblica amministrazione, dell’imprenditoria e della politica, finalizzato, sovente, al finanziamento di quest’ultima.

I protagonisti sono i soliti: politici di livello locale o nazionale, imprese piccole, medie o multinazionali, faccendieri spesso collegati a organizzazioni criminali che operano anche nel settore degli appalti pubblici. A completare il quadro, nell’ultimo triennio l’economia regolare – in termini di valore aggiunto – ha perso il 2,4% mentre quella in nero e illegale è cresciuta della stessa percentuale e, all’interno di questa, le attività criminali sono cresciute del 6,9%. Droga, prostituzione e contrabbando hanno raggiunto un fatturato di 16,5 miliardi, più di quello di tutta l’industria dei mezzi di trasporto (Ricerca di Confartigianato su dati Istat e Unioncamere).

La «trama» dell’attuale tangentopoli è sempre la stessa: il gioco di alleanze o conflitti finalizzato ad acquisire maggior ricchezza e potere. Si tratta di un enorme flusso di risorse finanziarie che arricchisce ceti parassitari e immiserisce le fasce deboli della popolazione aprendo ulteriormente la forbice delle diseguaglianze. Le vittime sono i cittadini e i politici onesti, le imprese «pulite» che rispettano la legalità, ma il prezzo più alto lo pagano i soggetti deboli: i giovani in cerca di occupazione, (circa il 40%), i poveri (9 milioni), gli anziani che hanno perso il lavoro, i titolari delle pensioni sociali. Ogni nuova inchiesta evidenzia l’estensione della patologia corruttiva in quel ceto politico da cui ci si aspetterebbe rigore morale, rispetto delle leggi e dedizione al bene pubblico. Riemerge invece in settori importanti delle varie «caste» il disegno di reagire alle inchieste asservendo al governo l’informazione televisiva pubblica, limitando la libertà di informazione (siamo settimi, dopo il Nicaragua) e l’uso delle intercettazioni – fondamentale nella scoperta delle azioni criminose – e subordinando la magistratura al potere esecutivo; misure già teorizzate nello scorso secolo, e tentate da Berlusconi. Come se la cura della febbre consistesse nell’azzerare il termometro. E, ciò che è peggio, più cresce la corruzione, più crescono la disaffezione per la politica, l’astensionismo, il ripiegamento rancoroso sulla vita privata, il senso di insicurezza e la paura.

C’è qualcosa che possono fare i cristiani in questo contesto? Continuare a credere, sperare e agire nella convinzione che sia possibile cambiare la situazione. Rifiutare di assuefarsi alle tragedie che quotidianamente si svolgono sotto inostri occhi: i migranti respinti o lasciati affogare, lo scempio della natura, l’appropriazione del pubblico denaro per il lusso di pochi o per gli armamenti. Per quanti si sforzano di seguire il messaggio di Cristo, è il momento di passare dalla memoria e dalla celebrazione della nostra storia di testimonianza e di lotta (come la lotta dei neri contro la segregazione razziale, la lotta per la libertà religiosa, matrice della libertà di pensiero e di espressione, la partecipazione di protestanti italiani alla lotta partigiana contro il nazifascismo, lo stesso cinquecentenario della Riforma) all’impegno concreto delle comunità nell’accoglienza ai migranti (come peraltro già avviene in vari casi), nell’assistenza agli ultimi e ai discriminati, nella presa di coscienza dei pericoli che corrono la libertà d’informazione, la democrazia e lo stato sociale in Italia e in Europa; impresa non facile se si considera che su questi obbiettivi a parole tutti i partiti sono d’accordo, salvo poi tradirli nei fatti.

Si tratta di restituire alla funzione profetica la sua presa non solo sulle coscienze e sull’operato del singolo credente, ma sull’intero tessuto delle sue relazioni sociali. Il giudizio di Dio e l’appello al ravvedimento che gli antichi profeti rivolgevano ai loro contemporanei non erano discorsi generici, avevano destinatari precisi come precisi sono i nomi di quanti oggi adorano il «vitello d’oro» della ricchezza e del potere. Ritrovare il coraggio di essere profeti – pur con tutti i nostri limiti – significa chiamare a ravvedimento tutti i potenti per i quali potere e denaro sono il vero dio, e questo implica l’impegno ad aiutare le comunità e decifrare quanto sta accadendo. Siamo pronti a onorare la nostra storia di perseveranza e di profezia?

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