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Monoteismi in dialogo

Affacciata sul Mediterraneo, da dove gli sbarchi di migranti continuano a susseguirsi, la fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare affronta da sempre le tematiche del confronto e del dialogo attraverso il mezzo artistico. Ancora per il mese di maggio è allestito Convivium. L’Arte come terreno fertile del dialogo e della convivenza religiosa, una mostra che mette a confronto le tre principali religioni monoteiste attraverso lo sguardo di quattro artisti.

Ne parliamo con uno dei curatori, Antonio Frugis.

Come mai la scelta di questo titolo?

«Per questa mostra il significato di convivium, banchetto, si sposta dai principi alimentari, che sono comunque contenuti all’interno della mostra, e diventa un vero e proprio banchetto di sapienza. La fondazione Pino Pascali è impegnata da sempre in progetti il cui carattere è quello della multiculturalità, e di conseguenza abbiamo deciso di affrontare il tema delle tre principali religioni monoteiste e di quanto queste incidano a livello culturale tra le persone e nell’arte. Abbiamo voluto raccontarlo non soltanto dal punto di vista delle arti visive, ma anche attraverso altre discipline come l’artigianato, il cibo, la letteratura. Durante l’inaugurazione è stato ospite Massimo Salani, il teologo che ha scritto A tavola con le religioni e con lui abbiamo imbastito un discorso che riguarda gli aspetti alimentari nelle tre religioni.

Lo scopo della mostra è raccontare come soltanto il dialogo tra le culture, fra le religioni e le diverse identità possa generare quell’unicità che può vivere sotto lo stesso cielo di pace».

In che modo questi scopi vengono messi in pratica nella mostra?

«Ci sono quattro artisti che provengono dalle aree di rappresentanza di queste tre religioni. Due sono artisti italiani: Massimo Ruiu, che si confronta con tutta una serie di simboli legati ai drammi umani riletti in chiave cristologica, e Zino, che ci mostra tre immagini che diventano icone, tre immagini simboliche di altrettante persone che pregano sotto sotto l’occhio della nuova piazza, questa nuova chiesa che sono i social network.

Ci sono poi due artisti di rappresentanza del mondo orientale: Boaz Arad, israeliano, che propone il video Marcel Marcel, una citazione di quello stesso genere di anticonformismo che Duchamp celebrava con la Gioconda con i baffi, con il quale lui si prende gioco in maniera irriverente e grottesca del nemico numero uno della religione ebraica, ovvero Hitler, e poi per raccontare quello che accade nel mondo islamico abbiamo invitato Takoua Ben Mohamed, artista di origini tunisine ma che vive in Italia ormai da tanto tempo. Lei è una bravissima disegnatrice e combatte a colpi di matita quelli che sono gli stereotipi legati ai conflitti tra il mondo occidentale e il mondo arabo: domande sul velo, sulla propria identità, sul sentirsi appartenenti a più culture ma essere vista come una persona che non ne ha nessuna: estranea per i musulmani che la considerano occidentale ma estranea anche per gli occidentali che la vedono musulmana».

Come è stato affrontato il tema dei social network?

«È venuto fuori tramite l’osservazione dei lavori di Zino, di questo trittico che mostra le immagini di un cristiano, un ebreo e un musulmano nell’atto di pregare. Le immagini si sgretolano come dei mattoncini, che sono un simbolo ludico ma anche universale: questa riduzione in pixel cade verso i loghi di quelli che sono i social network più conosciuti.

Questi luoghi sono oggi le vere agorà, un po’ spoglie e particolarmente pericolose. Senza voler essere censore di nulla, credo siano luoghi in cui circolano una quantità di informazioni e, soprattutto, di imprecisioni notevoli che rendono molto facile cadere nei luoghi comuni. Questi luoghi diventano piazze anche dal punto di vista della religione e della propaganda del messaggio religioso. Come stiamo vedendo, buona parte dell’arruolamento di tanti nuovi appartenenti a gruppi terroristici, avviene attraverso queste reti, e questo è indicativo di come si siano sostituiti a tutti gli effetti ai più importanti comunicatori sociali, che una volta potevano essere i filosofi o gli stessi sacerdoti, gente che incarnava un pensiero condiviso e ispirato».

Lartista fa parte e si influenza vicendevolmente con la società; c’è il rischio che il messaggio si politicizzi troppo?

«Gli artisti dovrebbero tornare a parlare di politica e a orientare un po’ il pensiero. Cè una grande affinità tra Dio, in senso spirituale, e l’artista stesso attraverso il paradigma del creare e fare qualcosa. Gli artisti sono coloro che per sensibilità riescono ad arrivare molto prima degli altri a capire determinati aspetti che riguardano la società. Credo sia importante sottolineare che questa mostra non vuole fomentare la religione, bensì raccontare come la religione, anche quotidianamente e anche per chi non crede, influenzi tutta la vita di una persona. Il rischio di politicizzare, alimentare o fomentare posizioni è palese, ma la fondazione Pascali porta avanti questo lavoro sull’intercultura ormai da tantissimo tempo. Per esempio, siamo reduci da un progetto molto complesso che ci ha visto dialogare con i Paesi dei Balcani e che ci ha permesso di ricordare come il mare Adriatico, sul quale ci specchiamo, e più in generale il Mediterraneo, non sono mai stati e non possono essere considerati come mari che dividono, ma soltanto come ponti che uniscono. Noi parliamo di civiltà e cultura mediterranea come somma di tutte le singole identità, e i rapporti interculturali e il dialogo resteranno sempre alla base della convivenza.

Qui in Puglia abbiamo avuto un grande maestro in tempi non sospetti: l’imperatore Federico II di Svevia, il quale riuscì a conquistare il Santo Sepolcro con la sola crociata possibile, quella del dialogo. Federico rinfoderò la spada e ottenne dal Sultano, con il confronto verbale, con una banale richiesta, la possibilità di accedere al Santo Sepolcro. Poi lui fu scomunicato, ma questa è un’altra storia».

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