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Brescello: comune sciolto per mafia

A seguito delle indagini svolte da una commissione prefettizia, il Consiglio dei Ministri ha infine deciso di sciogliere il comune di Brescello, in provincia di Reggio Emilia. Una risposta a quanto emerso dall’inchiesta Aemilia: il più imponente processo alla ‘ndrangheta istruito nel nord Italia, inaugurato a Bologna sul finire del 2015. Ne parliamo con Massimo Mezzetti, membro della chiesa metodista di Bologna e assessore alla cultura e alla legalità della regione Emilia Romagna.

La prima domanda è banale. Com’è possibile che la «cosca Aracri» dalla Calabria si sia trasferita in Emilia?
«Brescello, teatro delle vicende di Guareschi e di Peppone e Don Camillo, è il primo comune dell’Emilia che viene investito da una misura di questo genere. Un’onta pesante. Il vaso di pandora si è scoperchiato prima ancora dell’inchiesta Aemilia, quando un gruppo di coraggiosi giovani universitari dell’Associazione “Cortocircuito” ha prodotto – lo ricordo, grazie a un contributo della regione – un documentario sulle infiltrazioni dei clan della ‘ndrangheta cutrese, capitanati appunto dalla famiglia Grande Aracri, nella zona della bassa reggiana, con epicentro Brescello. Da questo documentario è emerso non soltanto la contiguità delle massime autorità cittadine – il sindaco in persona ha accompagnato questi ragazzi nel cortile della famiglia Grande Aracri, spiegando come queste persone avessero aiutato il paese – ma la quiescenza della cittadinanza locale: nelle interviste fatte ai cittadini di Brescello, nei bar, nelle piazze, anche se con accento reggiano, sentiamo le stesse frasi dei documentari di venti trenta anni fa a Corleone: “la mafia non esiste, qui non c’è. Sono persone perbene, danno lavoro a tutti” Ecco, questo è il sintomo più grave di una penetrazione che non riguarda solo il tessuto dell’economia ma anche, purtroppo, un pezzo della coscienza civile dei nostri cittadini. Se così fosse, sarebbe questo il vero salto di qualità. Perché nei nostri territori le mafie esistono da tempo. Noi come regione abbiamo mappato e studiato il fenomeno già dalla metà degli anni Novanta, con l’aiuto di esperti del calibro del prof. Enzo Ciconte. Abbiamo rilevato e denunciato la presenza di diverse famiglie della ‘ndrangheta, della camorra, talvolta anche della mafia siciliana, che spesso stringono alleanze con mafie straniere, in particolare sul litorale adriatico. Se prima erano caratterizzate dal controllo diretto o indiretto d’imprese stanziate fuori dalla nostra regione ma che erano in grado di accaparrarsi appalti grazie al criterio del massimo ribasso, soprattutto nella seconda metà degli anni 2000 il salto di qualità è stata la complicità di imprese locali e di imprenditori e professionisti del nostro territorio. Un’infiltrazione resa possibile anzitutto da meccanismi di usura che hanno permesso l’acquisizione progressiva di quote societarie di imprese locali. Nella maggior parte dei casi questa complicità non ha riguardato la politica, ma nel caso di Brescello anche l’attività amministrativa è stata condizionata dalla presenza della famiglia Grande Aracri».

Veniamo dunque al «caso Brescello», alle sue specificità.
«Iniziamo con il dire che commissioni prefettizie sono state inviate a controllare anche altri comuni emiliani, ma solamente nel caso di Brescello si è ritenuto opportuno prendere queste misure. Questo percorso è prevalentemente di carattere giudiziario, la politica ha un compito di segnalazione alle autorità deputate. Nel caso specifico di Brescello l’allarme pubblico è stato lanciato proprio così, dal documentario che dicevamo. Poi l’inchiesta Aemilia da gennaio ha consentito di avere un approfondimento giudiziario e inquirente su tutta la materia. Ne è emerso un quadro in cui la famiglia Grande Aracri, che è al centro di tutta l’inchiesta, aveva a Brescello la sua residenza e base logistica, da cui irradiava fino alle propaggini del mantovano i suoi affiliati. In questo caso, non solo per Brescello, ma ovunque si sia rilevata una particolare insistenza di queste cosche, i prefetti si sono attivati con commissioni d’indagine che sono entrate in questi comuni, hanno acquisito tutto il materiale amministrativo relativo alle attività degli ultimi anni e hanno redatto relazioni che sono arrivate al Consiglio dei ministri. In alcuni casi non è stata rilevata l’infiltrazione e il condizionamento mafioso; in Emilia, nel caso di Brescello, si è ritenuto che sia stata influenzata l’attività amministrativa. Per intenderci, dipendenti comunali assunti solo in quanto legati alla famiglia del boss Nicolino Grande Aracri avvantaggivano in sede di appalto imprese affiliate. Questo è il meccanismo sospettato, l’accusa, ancora tutta da dimostrare in sede giudiziaria, ma che sul piano politico è parsa sufficiente al governo per richiedere lo scioglimento del comune».

Se il governo centrale ha sciolto la giunta, la Regione cosa fa o cosa può fare, nel concreto, per monitorare i suoi comuni? Per contrastare le mafie?
«Siamo in guerra e il nostro obiettivo è ripulire il nostro territorio. Per avere un contrasto efficace bisogna che ognuno svolga in maniera adeguata il proprio ruolo. A noi non spettano competenze giuridiche o inquirenti, noi dobbiamo costruire le norme che possano fungere da setaccio per le infiltrazioni. Come? Cominciamo con il dire che non partiamo da zero. Abbiamo una base legislativa consolidata e robusta. Le legge 11 del 2010 in materia di appalti nell’edilizia, la legge 3 del 2011 sulla prevenzione alla criminalità organizzata e la diffusione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile, una legge che è stata riconosciuta dall’Onu come testo di “buona pratica”; abbiamo la legge 3 del 2014 che interviene in un settore specifico ma ad alta sensibilità come l’autotrasporto e il facchinaggio; infine abbiamo un protocollo di legalità che ha messo in campo un coordinamento tra tutte le forze dello stato, della regione, dei comuni e dei gruppi interforce che è intervenuto in occasione della ricostruzione dopo il terremoto del 2012. A tal proposito, colgo l’occasione per sfatare il luogo comune secondo il quale le mafie sarebbero entrate dopo il sisma. È una falsità totale. Innanzitutto perché le mafie in Emilia penetrano ahinoi molto prima, almeno dagli inizi degli anni Ottanta; in secondo luogo perché grazie a questo insieme di norme e di strumenti regionali, siamo riusciti, dati alla mano, a contenere le infiltrazioni. Nella ricostruzione abbiamo coinvolte oltre 1700 imprese. Sui 2 miliardi di euro investiti, soltanto lo 0,68% sono stati intercettati da ditte o imprese che poi sono risultate inquinate e quindi estromesse e interdette dai lavori di ricostruzione. Sfido a trovare un altro territorio del nostro paese in cui l’incidenza dell’infiltrazione della criminalità organizzata in opere di ricostruzione sia inferiore all’1%. Questo significa che il setaccio del protocollo di legalità ha funzionato. Tant’è vero che oggi anche i magistrati e i prefetti ci dicono: rendiamo quelle norme nate come straordinarie ordinarie, e applichiamole a tutto il territorio. È quello che stiamo facendo con la costruzione di un testo unico della legalità che va dalla materia degli appalti pubblici fino al contrasto del gioco d’azzardo, all’aiuto alle vittime dell’usura al reintegro a protezione dei lavoratori delle imprese strappate alla mafia. Un intero complesso legislativo che riorganizza, razionalizza e armonizza tutto il materiale normativo preesistente, semplificandolo, portandolo da 175 articoli legislativi a un articolato di non più di 50. È un lavoro che stiamo facendo insieme alla Consulta della legalità che abbiamo istituito nel luglio dell’anno scorso, cui partecipano tutte le organizzazioni economiche, sociali, sindacali, imprenditoriali, e anche gli organi dello stato che collaborano con noi. Ogni passo dell’articolato viene supervisionato, tanto per fare un nome, da Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, e da altri magistrati di livello nazionale e internazionale. Contiamo di approvare il testo unico in aula entro l’estate. Dopodiché saremo la prima regione a dotarci di uno strumento legislativo di questo tipo».

Possiamo dire che la Regione non rimane inerme di fronte a quella che sembra o viene descritta in questi giorni come una mutazione antropologica e culturale della propria cittadinanza.
«In merito tengo a dire una cosa. Ho letto il rapporto della direzione nazionale antimafia, in cui si descrive un’Emilia buia, che si sarebbe fatta corrompere perché corrotta nelle menti della sua cittadinanza. Un quadro desolante di omertà e di silenzi diffusi, nel quale per la giustizia sarebbe difficile addentrarsi. Io dico questo: abbiamo registrato ritardi a tutti i livelli, non esclusi quello delle magistrature e delle procure. Abbiamo tutti delle responsabilità. Negli anni scorsi, sono stato protagonista di questo, ci sono stati episodi di cittadini che hanno denunciato, anche correndo dei rischi, anche noncuranti delle minacce – io stesso ne ho ricevute diverse – eppure non sempre abbiamo trovato orecchie sensibili nelle procure della nostra regione. Ascoltare e dare seguito è importante. In modo inconsapevole, superficiale, ingenuo, si è pensato che siccome il mafioso da noi non si presenta con la coppola e la lupara in spalla, siccome non c’è l’omicidio e il sangue per strada, allora la mafia non esiste. Non si è riflettuto sul fatto che in Emilia la mafia non ha alcun interesse a sollevare i riflettori sulla sua attività, vuole al contrario mantenere un profilo basso».

Un’ultima domanda politica. Cosa succede al comune, ai cittadini di Brescello? Viene commissariato o si vota? E dato che Marcello Coffrini, il sindaco uscente, era del Partito Democratico, come si riorganizzerà il centro-sinistra?
«Il comune di Brescello sarà commissariato dalla Prefettura e dal Ministero dell’Interno. Non so se uno o più commissari dovranno portare il Comune al voto anticipato, credo il prossimo 5 giugno, insieme alle altre città. Va detto che Marcello Coffrini si era già dimesso in gennaio, sia i consiglieri che il Pd gli chiesero di farsi da parte. Io non sono del Pd ma di Sinistra Ecologia Libertà, quindi non posto rispondere direttamente a nome del Pd. Una cosa è certa: qualsiasi alleanza politica sarà capace di dare un governo al comune di Brescello la svolta dovrà essere radicale dal punto di vista delle persone, dei volti e delle esperienze che devono dare il segno della novità. Marcello Coffrini aveva ereditato il comune dal padre, anche lui sindaco. Già questo, che di per sé non significa nulla, non gioca però a favore della totale linearità e trasparenza di cui abbiamo bisogno in questo momento».

Foto: By FriedrichstrasseOwn work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11933962