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La misericordia è gratis

Il video della nuova pubblicità 8×1000 è bello, ben fatto e rende l’idea: «i vostri soldi, cari italiani, non andranno a finanziare il culto dei valdesi ma andranno a progetti sociali, culturali e assistenziali e (la pubblicità lo evidenzia con altrettanta efficacia) saranno gestiti in maniera trasparente». Fare una pubblicità in pochi secondi che riesca ad essere incisiva, che si ricordi e che allo stesso tempo dica chi siamo e qualcosa dei nostri progetti non è facile. L’uso che viene fatto dell’otto per mille sia oggi una delle maggiori vetrine, se non la più grande, con cui ci presentiamo all’esterno come chiesa, e per questo penso sia necessaria una riflessione sul messaggio che si veicola in questo modo.

a) Si esprime, attraverso il sottolineare la gestione trasparente, un concetto a mio giudizio discutibile. E’ possibile che in Italia ci sia poca trasparenza, ma nonostante ciò, ritengo che il praticarla sia semplicemente fare il proprio dovere, non un motivo di vanto né tanto meno di pubblicità. E’ giusto essere il più trasparenti possibile, sappiamo che abbiamo anche noi le nostre magagne, lasciamo che siano gli altri ad apprezzare il modo in cui gestiamo questa fiducia. Trovo sbagliato instillare la falsa idea per cui fare il proprio dovere, soprattutto nei confronti della pubblica amministrazione, sia motivo di vanto

b) Si dice che i soldi non sono per fine di culto. Ovvero non per i locali di culto né per gli stipendi del clero. Al cittadino italiano medio stiamo dunque dicendo: «Noi, a differenza di qualcun altro, non usiamo i tuoi soldi per pagare i nostri preti e nemmeno per sistemarci le facciate delle chiese, ma li usiamo per fare del bene nel mondo». Credo che il messaggio agli italiani piaccia molto. Vorrei invece porre l’accento su alcune conseguenze che questo messaggio comporta:

– Veicola l’idea che esista una separazione netta tra ciò che è la Diaconia, le opere di bene nel linguaggio nazionalpopolare, e l’annuncio della Parola, la preghiera, il canto, lo studio biblico ecc.

– Veicola l’idea che noi siamo più bravi ma in ultima analisi la nostra identità, per l’ennesima volta, si definisce non per affermazione, ma per differenza con chi fa peggio di noi (la Chiesa cattolica, che li usa anche per i preti e gli edifici di culto, e lo Stato che è meno trasparente).

Non vi è, io credo, una chiamata che ci è rivolta come credenti nella quale si possa separare e distinguere il culto dalla diaconia. Temo invece che la nostra pubblicità vada, in direzione opposta, e che lo faccia per una precisa ragione: ci conviene e funziona. Ci conviene perché ci facciamo bella figura e confermiamo allo stesso tempo l’idea, non nostra, che le chiese servano soprattutto a fare del bene al prossimo e che poi ognuno con Dio si aggiusta come vuole. Con questa pubblicità si rafforza, credo, l’idea che l’annuncio della parola di Dio “fatto a parole” non possa essere finanziato con i fondi otto per mille e, invece, l’annuncio della parola di Dio “fatto con le azioni” sì. Si rinforza così una separazione tra “clero” e laici e l’idea di una parola separata dall’azione. Come se la seconda potesse esistere a prescindere dalla prima e come se non fosse anche essa una risposta alla chiamata di Dio che è rivolta a tutti noi. L’idea, già ampiamente diffusa in Italia, che Dio non conti granché e che ciò che invece è importante sia fare del bene in campo culturale, sociale e assistenziale viene così ribadita. Ma sappiamo anche noi che per fare del bene non c’è bisogno di essere chiesa.

c) Infine si afferma che i soldi non vanno alla chiesa valdese. Vero, perché vanno sempre tutti al servizio di chi usufruisce dei progetti. Ma anche la nostra Diaconia presenta, giustamente, dei progetti. Non è forse anche essa chiesa? Mi sembra che si rischi di dire che la chiesa è fatta solo da muri e culto e che, poiché la nostra Diaconia svolge un servizio verso terzi allora i soldi non vanno alla chiesa. Implicitamente si dice così che se si annuncia la parola in un culto, non si sta svolgendo un servizio verso terzi ma solo verso quelli che sono già chiesa e che quindi, proprio perché non finanziamo il culto e il luogo dove si svolge di solito, possiamo permetterci di dire che i soldi non vanno alla chiesa valdese. Mi sembra che qui venga rafforzata l’idea che il culto classico sia un’azione rivolta all’interno e la diaconia verso l’esterno. Implicitamente si afferma che l’evangelizzazione si fa solo con le opere e l’annuncio della Parola sia invece relegato, nella sua forma classica, a coloro che sono già evangelizzati o che lo sono per nascita.

Forse l’anno prossimo, nell’imminenza del cinquecentenario della Riforma, potremmo proporre uno slogan del tipo: «La misericordia non si amministra, è gratis». Magari meno accattivante ma più vicino alla nostra identità teologica. Si potrebbe così rendere maggiormente conto del legame tra l’azione di Dio e quella umana, presentando i nostri progetti come una forma di servizio, e di risposta diversificati. Potrebbe essere anche un tentativo di spiegare meglio chi siamo a tutti coloro che ripongono in noi la loro fiducia affidandoci parte delle loro tasse.  

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