handcuffs-964722_960_720

Una riabilitazione che non prevede sorrisi

La vicenda di Doina Matei (la ragazza romena condannata a 16 anni per omicidio preterintenzionale: il 26 aprile del 2007 uccise Vanessa Russo colpendola con la punta dell’ombrello in un occhio dopo una lite in una stazione della metropolitana di Roma) è davvero emblematica di un certo modo di intendere la giustizia in questo Paese e le reazioni sul web evidenziano «l’incattivimento» della società italiana. Dopo nove anni di carcere e un percorso riabilitativo, Doina ha ottenuto la semilibertà. In pratica esce di giorno per andare a lavorare e la sera torna a dormire nel carcere della Giudecca a Venezia. Anzi, usciva e lavorava finché la pubblicazione e la diffusione da parte di alcuni organi di stampa delle sue foto postate su Facebook hanno spinto il magistrato di sorveglianza a sospendere la semilibertà. Foto normali, di una ragazza trentenne che sorride al bar mangiando una pasta o in un momento di relax al mare in bikini (scandalo!).

Nonostante il pentimento (espresso più volte) e il percorso di riabilitazione, il lavoro in una cooperativa Venezia a pulire i bagni, bastano quelle foto su un social network per sospendere il suo cammino. Speriamo che sia una sospensione solo temporanea. Non mi addentro nelle questioni giuridiche del caso. Può darsi che nelle regole della semilibertà ci fosse il divieto di pubblicare foto sui social network, onestamente non lo so. Tuttavia, il punto che mi preoccupa maggiormente è il clima che si respira intorno a questa vicenda (basta vedere i commenti degli altri utenti dei social network, per l’appunto) lo «scandalo» del tentativo di una giovane donna (con alle spalle un passato tremendo) di risocializzare, di voltare pagina e aprirne una nuova. Uno sforzo di tornare nella società (anche sorridendo, sì) che non è offensivo della memoria della povera Vanessa e del dolore della famiglia, verso la quale Doina ha espresso pentimento, dolore, richiesta di perdono.

Non mi pare che pubblicare queste foto sia un fatto tanto grave. Una persona condannata, che sta scontando la pena (peraltro sull’entità della pena che sta scontando per omicidio preterintenzionale ci sarebbe da aprire un altro dibattito) e che si è guadagnata sul campo la possibilità della semilibertà non può più sorridere? Non può più provare a reinserirsi? L’avvocato di Doina, Nino Marazzita commenta: «La sospensione durerà giusto il tempo di discuterla davanti al tribunale di Venezia dove dimostreremo che fra i divieti non c’era quello specifico dell’uso del social network». 

Marazzita si dice fiducioso sul fatto che la questione possa rientrare: «Attendo di essere convocato dal giudice di sorveglianza di Venezia per valutare il da farsi ma sono convinto che il beneficio della semilibertà possa essere ripristinato. Lo avevo ottenuto nove mesi fa puntando sul fatto che Doina avesse avuto in carcere una condotta irreprensibile, che avesse alle spalle un vissuto difficile e che il suo percorso di recupero fosse da apprezzare. Argomenti che, ritengo, non sono venuti meno». 

Per il senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani, intervenuto nella trasmissione Radio Carcere di Radio Radicale, «la vicenda di Doina, secondo una logica di stato di diritto e i criteri di una giustizia giusta è edificante, va portata a modello di come è possibile che il carcere, nonostante il carcere, funzioni da fattore di risocializzazione. Doina sta scontando la sua pena, non le è stata condonata. Il suo percorso è fatto di una lunga fatica per conquistare la risocializzazione. In questo momento a Venezia c’è la sorella, il loro progetto era che i figli venissero in Italia per consentire quella relazione familiare che è fondamentale nel percorso di risocializzazione dei detenuti». 

In una nota, Manconi aggiunge e rincara: «Sospesa l’applicazione dell’articolo 21 del regolamento penitenziario (che consente, scontata metà della pena, la possibilità di lavoro esterno diurno) per Doina Matei perché – come stigmatizzato da molti – “sorrideva“. Mi chiedo: e, allora, perché non sospendere direttamente l’articolo 27 della Costituzione che, al comma 3, prevede la rieducazione del condannato? Ci risparmieremmo, così, tante discussioni oziose (…) pruriginosi scrupoli umanitaristici e, soprattutto, l’idea stessa – così tediosa e sdolcinata – del riscatto sociale. Potremmo essere tutti più sereni e “sorridenti”».

Secondo Manconi, «la società italiana si è incattivita». Tanto incattivita da essere disturbata da semplici sorrisi di chi cerca, con fatica, il riscatto.

Foto via Pixabay