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Presentata un’interpellanza parlamentare sulla legge “antimoschee”

Si terrà mercoledì 20 aprile alle 11.30 presso la sala stampa della Camera dei deputati, in via della Missione 4, una conferenza stampa per presentare l’interpellanza parlamentare degli on. Luigi Lacquaniti e Khalid Chaouki, entrambi appartenenti al PD, sulla nuova legge “anti-moschee” approvata lo scorso 4 aprile dalla Regione Veneto. Parteciperanno anche il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), il professor Roberto Zaccaria, docente di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, e Mohsen Khochali, presidente della Comunità islamica di Verona. Abbiamo avuto qualche anticipazione dall’on. Lacquaniti.

Onorevole Lacquaniti, che cosa chiedete con questa interpellanza?

«E’ un’interpellanza che ho preparato col collega Khalid Chaouki, dopo aver appreso della legge approvata dal Veneto e averne letto il dispositivo. Una legge approvata con i soli voti di Lega e centrodestra, ma che va a toccare un diritto di tutti, il diritto di poter liberamente esprimere le proprie convinzioni religiose, di poter manifestare apertamente il proprio credo. E si tratta, è bene ricordarlo, di un diritto sancito dalla Costituzione. Ancora una volta si introducono norme di natura urbanistica, unicamente per limitare pretestuosamente l’esercizio di questo diritto. Come era già accaduto un anno fa con la Legge approvata dalla Regione Lombardia, poi cassata dalla Corte costituzionale. Con questa normativa diventerà di fatto impossibile realizzare nuovi luoghi di culto. Rispetto alla Legge lombarda però, il legislatore della Regione Veneto è stato più accorto: ha dettato una normativa estesa a tutte le confessioni religiose, compresa quella cattolica, diversamente da quanto successo l’anno scorso in Lombardia, dove era apparso chiaro che la Chiesa cattolica era stata esclusa dall’applicazione. E ha ancorato la disciplina sostanzialmente a esigenze di natura urbanistica. In sostanza il lettore distratto prende in mano questa legge e vi trova una disciplina urbanistica. Vi sono però alcuni punti in cui la legge, a mio avviso, tradisce ancora una volta l’intento discriminatorio che la sottende, la sua natura di legge antimoschea. La realizzazione di “attrezzature di interesse comune per servizi religiosi” – questa è l’espressione utilizzata dal legislatore – viene limitata alle zone periferiche dei centri abitati, le “zone F”. Sono poi richiesti vari interventi urbanistici, del tutto comprensibili certo, dalle strade alle opere di urbanizzazione primaria, i cui oneri però saranno posti a carico delle singole comunità confessionali. E la convenzione che dovrà essere stipulata con i rispettivi Comuni, oltre a rappresentare prevedibilmente un ulteriore, lungo aggravio burocratico, obbligherà la comunità al versamento di una fideiussione adeguata. Purtroppo molte di queste sono comunità di recente formazione, comunità evangeliche, costituite da immigrati stabiliti da poco tempo nel nostro Paese, comunità povere, che non possono affrontare tutti questi oneri e che rimarranno escluse dalla disciplina, senza più un luogo di culto. I Comuni inoltre avranno facoltà di sottoporre a referendum questo strumento urbanistico, cioè l’esercizio di un diritto costituzionale potrà essere di fatto assoggettato a un referendum. Vi è poi la questione della lingua: il Comune potrà richiedere nella Convenzione che la Comunità faccia uso della lingua italiana, al di fuori dei riti. Come si sa è una norma che oggi viene giustificata da esigenze di sicurezza e di ordine pubblico che io comprendo perfettamente. A me pare tuttavia che la lotta al terrorismo di matrice islamica, dipenda prima di tutto da un dialogo fra le comunità, da un confronto sereno e pacifico fra le culture: e per questo bisogna evitare prima di tutto la nascita di ghetti, cosa che questa legge della Regione Veneto finirà invece per creare».

L’anno passato in occasione dell’omologa legge lombarda faceste un’interpellanza che portò alla bocciatura della Corte costituzionale del testo approvato dal Consiglio regionale. Crede che anche in questo caso la Corte potrebbe pronunciarsi allo stesso modo?

«Vedremo. Non voglio ovviamente mettere in bocca alla Consulta considerazioni che sono mie. Certamente ci attiveremo e chiederemo al Governo che impugni davanti alla Corte anche questa legge. Anche se il legislatore veneto, memore di quanto è accaduto con la legge lombarda, è stato più accorto, cercando di evitare tutti gli elementi che potrebbero condurre a un nuovo sindacato di costituzionalità. Mi pare tuttavia, dalle considerazioni svolte prima, che vi siano argomenti per la dichiarazione d’incostituzionalità almeno parziale, anche di questa legge».

Una legge quadro per la libertà religiosa potrebbe porre fine a norme che di fatto impediscono la libertà di culto, tutelata anche dalla nostra Costituzione?

«E’ il vero problema che abbiamo di fronte di noi. La libertà religiosa, la libertà di culto, è un diritto riconosciuto dalla Costituzione repubblicana, a cui però in 70 anni non ha fatto seguito una legge organica in materia. Così, al di là della revisione del Concordato, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, e delle Intese con le altre confessioni non cattoliche, al di là delle norme che hanno disciplinato ora questo, ora quell’aspetto, in modo marginale, per così dire in modo tangenziale, il nostro Paese paradossalmente si trova ancorato tuttora all’impianto del legislatore fascista, ai cosiddetti culti ammessi. Fra parlamentari sensibili a questi temi abbiamo avuto varie riunioni, ci sono stati convegni promossi anche dalla Fcei, so di una bozza di legge ormai pronta a cui ha lavorato una Commissione di giuristi e di studiosi. Sono convinto che non sia tardi per una legge quadro che riformi organicamente questa materia in questa stessa legislatura».

Foto via Pixabay