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Musica Endemica

È uscito da pochi giorni «Musica Endemica», l’ultima fatica discografica dei Lou Dalfin, gruppo musicale che dal lontano 1982 (con un momento di interruzione nei primi anni di vita) porta in giro per tutta l’Europa la musica e la tradizione occitana. Radicato a Caraglio, casa di Sergio Berardo, fondatore e tutt’oggi cantante e polistrumentista del gruppo, Lou Dalfin ha all’attivo oltre mille concerti e un premio Tenco (2004) per il miglior album in dialetto.

Musica Endemica segna una svolta rispetto ai lavori precedenti. «Dopo 20 siamo tornati da un produttore che con noi aveva già lavorato in alcuni album. Stiamo parlando di Madaski (Africa Unite), l’ultimo lavoro con lui risale a “Gibous, bagase e bandì” e quindi siamo tornati a riavvicinarci al suono di quel lavoro, perchè un cuoco anche se cambia ristorante la sua mano la riconosci sempre: così succede con Madaski in veste di produttore». A spiegarcelo è Sergio Berardo che analizza l’intero album. «Nelle tracce che potete ascoltare c’è una continua antitesi. Parliamo, cantiamo e suoniamo di un gruppo di briganti che dopo la guerra d’indipendenza dell’Ottocento non riescono a reinserirsi nella società ma anche del concerto di Manu Chao a Cuneo e di una irreale rivoluzione di stampo sud-americano in Provincia di Cuneo; trovano spazio le vittime della crociata del 1209, come l’annegato di Muret e delirio del traffico metropolitano in una città sorella come Barcellona». Ieri e oggi, ghironde e suoni elettronici, tutto mescolato nella musica popolare, che nel corso del tempo cambia e muta, per rimanere viva, come la lingua. «Dal palco – continua Berardo – abbiamo una visuale privilegiata su quello che ci succede davanti. Se all’inizio della nostra carriera la danza era un qualcosa di limitato e circoscritto a pochissimi oggi è diventato fenomeno di massa ai nostri concerti. Genti diverse ballano assieme e questo possiamo dire ci rallegra: la musica è uno strumento di socializzazione, che viene dalla terra ma non esclude e non si chiude su se stessa. A Torino, terra non propriamente di tradizione occitana, incontriamo sempre molta gente che viene per ballare in modo spontaneo».

Se gli ultimi lavori avevano avuto un’impronta comune fin dalla copertina con questo si cambia. «Diciamo che è finita la trilogia composta da “L’oste del diau”, “I virasolelhs” e “Cavalier faidit”: tutti e tre gli album ritraevano in copertina un disegno mentre per “Musica Endemica” siamo tornati alle foto. Come dicevamo prima si cambia, quando si è vivi. L’Occitania noi la sentiamo viva: i bambini in val Grana parlano questa lingua, a Barcellona riusciamo a farci capire, i concerti sono seguiti, la cultura va avanti. La nostra musica non è chiusa in una teca, si lascia contaminare, è musica popolare». È Musica Endemica.