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Diritto interrotto

Il Consiglio d’Europa ha affermato che in Italia l’interruzione di gravidanza è troppo difficile, discrimina gli operatori sanitari non obiettori di coscienza e soprattutto viola il diritto alla salute delle donne. La ministra della Salute Beatrice Lorenzin si è detta stupita e ha sostenuto che i dati a cui si è fatto riferimento risalivano al 2013 con una situazione attualmente diversa. La Cgil, che aveva presentato il ricorso in Consiglio d’Europa da cui è scaturita la sentenza, ha risposto che i dati sono aggiornati al settembre 2015 e non sono mai stati smentiti dal Ministero. Ostacolando l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, si alimentano i rischi di ricorso ai privati ed alla clandestinità. Ne abbiamo parlato con Patrizia Mathieu, medico in medicina generale e presidente del Consiglio di Chiesa della Chiesa valdese di Torino.

Come ha accolto questa notizia?
«È l’ennesima bastonatura dell’Europa nei confronti dell’Italia sul tema dei diritti e su molti aspetti delle tutela della salute. Il ricorso era legittimo e il risultato era scontato perché per gli operatori sanitari lo stato drammatico dell’applicazione della 194 è ben noto. Uno dei vulnus di questa legge è il fatto di prevedere l’obiezione di coscienza, cosa che ha diviso gli operatori sanitari in due categorie: quelli che applicano la legge indipendentemente dal proprio convincimento personale con un senso di dovere delle norme e coloro che antepongono le proprie motivazioni di coscienza all’applicazione della legge dello Stato per il quale lavorano [ovvero garantire il diritto all’accesso al servizio, ndr]».

C’è il rischio che l’obiezione diventi un abuso?
«Io penso che uno Stato degno di questo nome debba tutelare i diritti di tutti, cittadini e operatori sanitari. Però, almeno chi lavora per il servizio pubblico ha il dovere di rispettare le leggi e tutelare i diritti dei pazienti. La legge 194, che è stata promulgata dopo enormi difficoltà, è titolata a tutela della maternità responsabile e dell’interruzione volontaria di gravidanza, e contiene una grande parte che dovrebbe aiutare a rimuovere gli ostacoli che impediscono alla donna di portare a termine la gravidanza, considerando che nessuna si accinge a fare questo passo a cuor leggero. Già ai tempi della legge ci fu una forzatura nel voler consentire a persone di cultura cattolica che non volevano stare nelle leggi dello Stato di obiettare, assistendo a fenomeni ridicoli come l’obiezione di coscienza invocata dai farmacisti che si rifiutavano di vendere gli estroprogestinici (i contraccettivi orali) sostenendo che avessero una valenza abortiva. Non ultima la battaglia sulla pillola del giorno dopo che finalmente si può assumere senza obbligo di ricetta medica. Questa situazione ha portato a uno scenario variegato in Italia: ci sono regioni in cui l’obiezione coinvolge oltre l’80% del personale. È inutile che la ministra dica che è stupita, perché questo è un dato di fatto e così il servizio non può funzionare. Dunque c’è una violazione palese della legge con una discriminazione pesante tra le donne che possono migrare altrove e quelle che non possono. Senza parlare del fenomeno del sommerso che è difficile da quantificare perché clandestino, ma che colpisce le donne più deboli e le straniere».

Davvero rischia di “scomparire” la legge?
«Il rischio c’è perché si diffonde la cultura che squalifica il lavoro di un medico che accetta di fare un lavoro triste come interrompere una gravidanza. Molti colleghi hanno scelto l’obiezione non per motivi ideologici ma per opportunità di lavoro, per poter essere inseriti in qualcosa di più qualificante, almeno ai loro occhi. Questo è un rischio consistente ed è terribile. Seppur comprensibile, è stato molto grave ammettere l’obiezione di coscienza in questo testo di legge. A mio avviso l’unico caso nelle arti sanitarie, perché per tutto il resto i medici non possono svolgere obiezione di coscienza. Io credo che dovrebbe essere possibile affermare che chi lavora in un servizio pubblico non possa usufruire di questa possibilità: altrimenti vada a lavorare da qualche altra parte».

Lorenzin ha detto che i numeri potrebbero essere diversi da quelli presi in esame.
«Non mi permetto di giudicare il funzionamento del Ministero diretto dalla Lorenzin, anche se in questi ultimi mesi la ministra ha dato prova di scarsa aderenza alla realtà. In Piemonte per fortuna la situazione è diversa dal resto d’Italia, il problema coinvolge pesantemente le regioni dal Lazio in giù. Qui in Piemonte incominciamo a temere un incremento dell’aborto clandestino, notato attraverso problemi di complicanze di aborti clandestini che arrivano nei pronti soccorsi cittadini. Questo è un tema su cui lavorare, perché ci possono essere dei gruppi di donne che per questioni culturali e problemi vari, non accedono al servizio pubblico e non ci provano nemmeno: questo è molto grave. D’altra parte in Piemonte abbiamo vissuto lo spettacolo tragico dell’opposizione all’interruzione di gravidanza con mezzi farmacologici che nel resto d’Europa avviene normalmente (cioè qualora sia necessario ricorrervi), se c’è un metodo più sicuro e meno invasivo, perché non utilizzarlo?».

Foto: via istockphoto.com