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La pedina migrante e lo scacchiere europeo

All’indomani delle proteste dei profughi a Idomeni, sul confine tra Grecia e Macedonia, causate da un’esasperazione crescente per la chiusura della frontiera, spostiamo l’attenzione su Lesbo, dove dopo l’accordo tra Consiglio UE e la Turchia il centro di accoglienza si è trasformato in centro di detenzione e da dove la settimana scorsa sono stati espulsi i primi migranti verso la Turchia. Fra pochi giorni sull’isola greca arriverà papa Francesco, portando con sé l’attenzione dei media. Nel gioco politico internazionale, invece, i profughi sembrano utilizzati come pedine: «ad Atene da pochi giorni si è svolto un meeting fondamentale per la crisi del debito greco. Ci sono gli emissari del Fondo Monetario Internazionale che insieme agli altri rappresentanti della Troika hanno discusso con il Ministro delle Finanze del futuro del terzo salvataggio che è scattato l’anno scorso a luglio ma che è ancora in fase di negoziazione – dice il giornalista Cosimo Caridi che si trova sull’isola di Lesbo – in queste ore Tsipras sta giocando sul tavolo con l’Europa la carta dei profughi, sostenendo che i 52 mila profughi presenti in Grecia non sono che una parte del problema futuro. Una pedina nel gioco della destabilizzazione della Grecia dal punto di vista economico».

Quale situazione sull’isola di Lesbo?

«A Lesbo in questo momento c’è un campo profughi che è diventato un campo di detenzione al quale non possono accedere i giornalisti e dove ci sono oltre 3 mila persone, mille delle quali bambini. Siriani, pachistani, afghani e altre etnie ma tutti quanti hanno fatto richiesta di asilo politico. Questo significa che non possono essere espatriati finché non viene deciso che la loro situazione permette questa protezione o meno. Come a Lesbo ci sono altri luoghi, gli hotspot, che sono disseminati nelle isole dell’Egeo. Il totale di profughi sulle isole è di oltre 6mila, ma secondo l’accordo tra Ue e Turchia quelli da rimandare indietro sono fino a 10 mila, se non di più. I numeri sono fatti perché possano crescere. In questa situazione ci sono state due deportazioni, la prima lunedì e la seconda venerdì. Fatte presto la mattina per evitare che ci fossero manifestazioni contrarie».

C’è tensione sull’isola?

«La situazione è calma. Sia perché arriverà il papa assieme ai vertici delle chiese ortodosse e a Tsipras, sia perché tutto il sistema dei rimpatri è bloccato poiché ci sono dei vizi di forma molto importanti. Queste persone devono poter andare in un paese che deve essere considerato sicuro: ma la Grecia non considera sicura la Turchia. Questo ha portato al blocco completo e ha lasciato all’agenzia Frontex il compito di gestire la patata bollente».

Nel guardare le foto delle espulsioni da Lesbo alla Turchia, vengono in mente altri viaggi, quelli dei canali umanitari di Fcei e Sant’Egidio che con molte meno risorse traggono le persone in salvo invece che rimandarle nelle situazioni da cui scappano. Che ne pensa?

«In quel caso il grande lavoro è stato fatto sul terreno in Libano. Dal gruppo di Operazione Colomba, per esempio, presente nel campo profughi da diversi anni e che aveva costruito un rapporto di fiducia con i siriani presenti in quel luogo, per cui l’inserimento della Fcei e della comunità di Sant’Egidio ha permesso a questi volontari di portare delle persone che si conoscevano molto bene e di inserirle in Italia in contesti protetti. I numeri sono piccoli e andrebbero ampliati avendo molte più possibilità di controllo sui profughi in partenza dal Libano e dalla Turchia».

Come?

«Bisognerebbe avere tantissimi volontari nei campi profughi per costruire legami con le persone e che siano poi capaci di dire quale persona o quale nucleo familiare potrebbe integrarsi in un luogo o nell’altro tra i paesi europei disponibili. L’Europa sta pensando di farlo, le ricollocazioni dell’anno scorso volevano essere un qualcosa di simile, ma la verità è che su 166 mila posti che l’Ue aveva pensato di poter gestire, sono partite poco più di 500 persone. Tutto questo si fa avendo qualcuno sul posto che dal punto di vista umano possa legare con le persone per capire e decidere come inserire chi ha voglia di integrarsi. Non si può fare prendendo le persone e spostandole come pedine come invece fa l’Unione Europea».

Foto By GgiaOwn work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45246844