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Beni culturali valdesi e metodisti: un patrimonio pronto a svelarsi online

Non è forse uno dei temi che riempie le agende del leader mondiali ma si tratta certamente di una delle frontiere del pensiero umano tra le più affascinanti e coinvolgenti: la riflessione su come custodire, condividere e comunicare il patrimonio culturale attraverso la combinazione di saperi tradizionali come l’archeologia o l’archivistica, e le tecnologie digitali.

Dopo i documenti pubblicati ad inizio anno dalla New York Public Library, nel mese di marzo è stata la volta del sito della biblioteca digitale Leon Levy che propone la digitalizzazione delle migliaia di documenti (pergamene, papiri, o frammenti di essi) ritrovati sulle sponde del Mar Nero nella zona di Qumran e risalenti fino a tre secoli prima di Cristo.

Si tratta di questioni che intrecciano futuro e passato e che ragionano sulle forme di trasmissione di quanto ci è stato tramandato. Ma se sul fronte della pura comunicazione, iniziative apparentemente snelle e frizzanti come la Museum Week che si è appena conclusa, contribuiscono a creare delle occasioni di incontro tra istituti culturali e pubblico, molto più lento e meditato è il percorso su come i beni culturali debbano essere catalogati e presentati online.

Una responsabilità di tutti

È un dibattito da cui non ci si può sentire esentati: la responsabilità (e insieme l’opportunità) di far dialogare il patrimonio culturale e le tecnologie digitali è tema non rimandabile, in cui ognuno deve fare la propria parte.

Anche in casa valdese e metodista da alcuni anni si stanno gettando le basi per un ragionamento di questo tipo. E così al censimento dei beni culturali del 2013 sono seguiti il protocollo con il MiBACT e l’accordo attuativo con l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, oltre ai successivi accordi con la Città di Torino e Camera – Centro Italiano per la Fotografia.

Venerdì 8 aprile – a Torino, nella prestigiosa sede dell’Archivio di Stato in Piazzetta Mollino 1 – sarà l’occasione, per l’Ufficio Beni culturali della Tavola valdese, di presentare ad un pubblico di interessati ed esperti del settore i risultati degli ultimi tre anni di lavoro sulla composizione, catalogazione e comunicazione del patrimonio culturale valdese e metodista nell’ambito di una giornata di studi [il programma in Pdf]. Verrà inoltre presentato il Portale del Patrimonio culturale metodista e valdese [che sarà visitabile a questo indirizzo], che offrirà uno sguardo d’insieme sull’eterogeneo patrimonio delle chiese e degli istituti metodisti e valdesi. Un punto di arrivo e di ripartenza, insomma, per questo lungo lavoro sostenuto dall’Otto per Mille Valdese.

Ne parliamo con Sara Rivoira, responsabile dell’Ufficio Beni Culturali della Tavola Valdese, con cui guardiamo al percorso svolto fin qui e a quello che seguirà l’appuntamento torinese.

Che cosa rappresenta la giornata dell’8 aprile che cosa vi aspettate?

«Questa giornata di studi si configura come una tappa di un percorso di lavoro e riflessione sui temi del patrimonio culturale e vorremmo si collocasse nel solco dell’attività che viene svolto abitualmente su questo settore. Ovviamente la presentazione del Portale del Patrimonio culturale metodista e valdese costituisce l’occasione per aprire questo confronto verso l’esterno con un pubblico più ampio, variegato e composto di persone interessate al tema, ricercatori, studiosi ed esperti. Abbiamo voluto lavorare su varie linee: da un lato sulle tematiche legate alla definizione e formazione del patrimonio culturale, considerando anche il ruolo attivo che le comunità (intese in senso generale, non solo valdesi e metodiste) svolgono nella definizione ed individuazione e trasmissione di questo patrimonio. D’altro canto sarà l’occasione per effettuare un confronto su come tre realtà religiose italiane declinino le problematiche legate alla definizione trasmissione, valorizzazione e comunicazione nelle loro realtà».

Il percorso attraverso cui si è arrivati alla giornata di studi è stato lungo e – immagino – complesso. A che punto è nelle chiese la consapevolezza del proprio patrimonio e della sua valorizzazione?

«Il panorama è molto vario. Sicuramente il censimento lanciato alcuni anni fa da parte della Commissione beni culturali della Tavola alle chiese, con la richiesta di individuare il proprio patrimonio culturale (archivi, biblioteche, oggetti, edifici) è stata un’esperienza molto importante perché ha reso partecipe le chiese del percorso che stava facendo in proposito la Tavola valdese con il Ministero. È stato un modo per coinvolgere le comunità. Inoltre ci ha dato la possibilità di capire meglio quale fosse la situazione. Quello che è emerso è che le chiese si trovano a gestire quotidianamente un patrimonio culturale che viene utilizzato durante le attività del culto o comunitarie. Si tratta di un elemento di grande ricchezza ma anche di complessità. Da tutta questa esperienza è emersa l’esigenza di proseguire il lavoro e approfondirlo. D’altra parte il censimento era solo il lancio della nostra attività, mentre i passi più concreti sono quelli legati all’individuazione effettiva del patrimonio, alla creazione di un inventario, ma soprattutto la sua descrizione in termini di catalogazione».

In che modo la riflessione sul patrimonio può entrare in dialettica con quella sulla propria identità di chiesa?

«Considerare il patrimonio come parte costitutiva della propria identità di chiesa è un passo molto importante che non è immediato e scontato. Spesso viene assegnato soprattutto a quegli elementi che sono più chiaramente individuabili. Penso agli edifici di culto: i nostri templi non sono luoghi consacrati ma hanno una fortissima valenza anche simbolica. Se per questi elementi le idee e la consapevolezza sono più chiare, per altri forse lo è meno. Effettuare il censimento e l’attività di catalogazione favorisce questa presa di coscienza che poi si trasforma anche in una cura diversa e un’attenzione maggiore. Tutto questo ovviamente in un rapporto dialettico di collaborazione con le istituzioni dello Stato, come le Soprintendenze che svolgono un’attività di tutela nei confronti del patrimonio culturale».

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L’invito alla giornata di studio

Un passaggio importante in questo senso è stato anche il protocollo firmato con il MiBACT.

«Quello che è stato alla base degli accordi firmati con il MiBACT è costituito dall’idea che anche il patrimonio culturale delle chiese metodiste e valdesi, per quanto sia un patrimonio di carattere religioso, debba far parte a pieno titolo del patrimonio cultuale italiano. Significa caricarsi l’onere di realizzare una serie di attività in conformità con un obbiettivo di questo tipo. In seguito al censimento che abbiamo realizzato si è deciso di provare a fare una campagna di catalogazione sperimentale del patrimonio di alcune chiese. Sono state scelte le chiese del II Distretto e il lavoro avviato è molto importante perché significa avere anche un riscontro sul territorio delle attività che si vogliono svolgere».

In che cosa consiste questa catalogazione sperimentale?

«L’attività di catalogazione prevede la raccolta di dati secondo determinati criteri e standard descrittivi che sono stabiliti da norme condivise a livello nazionale. Il nostro lavoro di catalogazione si è svolto seguendo questi standard, che abbiamo recepito nella realizzazione di un sistema apposito per la descrizione dei beni culturali intesi nella loro globalità. Il carattere sperimentale è determinato dal fatto che pur riferendoci a questi standard abbiamo introdotto alcuni elementi che riteniamo significativi nell’attività di descrizione che non necessariamente rientrano in questi standard. Volevamo inoltre misurarci con un campione di questo tipo e fare una prova I dati emersi sono buoni ma ovviamente vogliamo che si prestino ad una serie di valutazioni e confronti».

Diamo uno sguardo al portale che presenterete l’8 aprile. Cosa potranno trovare i navigatori casuali o interessati che ne incroceranno la strada?

«Il portale è pensato come uno sguardo d’insieme sul patrimonio delle chiese e degli istituti culturali metodisti e valdesi. Dovrebbe offrire una panoramica su tutti gli elementi del patrimonio, dagli inventari degli archivi, fino alla descrizione degli edifici, alle fotografie, ecc. Sarà quindi un punto di accesso unificato su un patrimonio eterogeneo da un punto di vista delle tipologie classiche dei beni culturali, distribuito su tutta la penisola italiana. Proprio in riferimento al fatto che le informazioni legate al patrimonio possono rispondere alla curiosità di utenti di vario tipo, sono previsti diversi livelli di lettura. Un livello di consultazione per un pubblico generalista e una sezione dedicata ad un pubblico specializzato o interessato ad approfondire alcuni elementi in maniera settoriale. Ci saranno poi una serie di altri contenuti, come ad esempio degli itinerari di visita relativi a zone in cui la presenza protestante è stata particolarmente significativa. Il primo itinerario consultabile sarà legato alla presenza valdese e metodista a Torino. Si tratta per noi operatori del settore di fare uno sforzo di comunicazione per rendere comprensibili determinati contenuti anche a chi non si occupa quotidianamente del patrimonio senza però perdere la ricchezza e la complessità che una descrizione deve avere».

Quali saranno i prossimi passi?

«Ci sono varie attività da portare avanti. Innanzi tutto quelle legate alla gestione e descrizione del patrimonio. Abbiamo realizzato una prima attività di catalogazione del patrimonio delle chiese del II Distretto (nord Italia) e vorremmo andare avanti in questo lavoro. Poi c’è l’implementazione del catalogo legato a tutti quei dati che già esistono e sono stati prodotti negli anni da parte dei diversi istituti culturali: l’archivio della Tavola valdese, la Fondazione Centro Culturale Valdese, la Facoltà Valdese di Teologia. Tutte le banche dati realizzate nel corso degli anni verranno riversate sul nostro portale. Questo richiede ovviamente una revisione dei contenuti. Per quanto riguarda la comunicazione si tratterà di lavorare sulle forme di presentazione dei contenuti, perché non basta mettere un catalogo online ma bisogna lavorare sulle forme di mediazione tra i dati che si nascondono nella descrizione del patrimonio e percorsi tematici, elementi storici e culturali per creare la possibilità di conoscere il patrimonio delle chiese metodiste e valdesi ma anche la loro realtà culturale».

Quindi possiamo sfatare il mito degli archivi storici come scaffali polverosi, magari di difficile accesso e guardare ad essi con uno sguardo nuovo, anche grazie alle tecnologie digitali?

«Effettivamente l’immagine dell’archivio polveroso è ancora molto diffusa. Il lavoro per la realizzazione di questo portale non toglie niente alla materialità degli oggetti, anzi aggiunge un corpo fatto di relazioni e contenuti che è importante quanto l’oggetto. E può diventare l’occasione per far venire voglia alle persone di visitare il famoso archivio polveroso».