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La logica totalitaria dell’Europa

Lunedì 4 aprile entrerà in vigore l’accordo sottoscritto tra il 17 e il 18 marzo da alcuni Paesi dell’Unione europea e la Turchia per ridurre l’arrivo di profughi in Europa lungo la rotta balcanica.

Diverse organizzazioni che compongono il Tavolo Nazionale Asilo, tra cui la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione e l’Arci, hanno tuttavia sottolineato la presenza di numerose violazioni dei principi fondamentali della tradizione giuridica e democratica europea, oltre a una serie di incompatibilità con le normative e direttive in vigore all’interno dell’Unione e a livello internazionale. Questi problemi, secondo il comunicato emesso da queste organizzazioni, rendono di fatto vuoto e inapplicabile un accordo che Gianfranco Schiavone, membro del consiglio direttivo di Asgi, definisce «estremamente confuso».

A grandi linee, cosa prevede l’accordo?

«È difficile dirlo. In generale quello che si prevede è uno scenario, che personalmente faccio fatica a non definire inquietante, che mette al centro il tentativo di impedire l’accesso fisico dei richiedenti asilo in Europa, o meglio in tutta Europa tranne in quella parte dell’Unione che si chiama Grecia, che rimarrebbe una sorta di grande contenitore dei richiedenti asilo e forse anche dei rifugiati. Non c’è nessuna previsione ragionevole su cosa questo significhi, e c’è semmai come unica previsione quella di dire che la Grecia rinvierà molte persone verso la Turchia. Il fatto è che non parliamo di accordi scritti in una maniera adeguata e dettagliata, ma parliamo di “fogli”, non saprei come definirli altrimenti, piuttosto confusi e contraddittori tra di loro, che denotano una grande agitazione da parte di chi li ha scritti e anche una certa consapevolezza che si sta sfiorando il limite della legalità».

In che senso?

«Ci sono molti aspetti, ma uno dei più problematici è la natura stessa dell’accordo: stiamo parlando di un’intesa tra gli Stati, non di un protocollo dell’Unione europea, e proprio per questo necessita della ratifica dei parlamenti nazionali, tra cui quello italiano, per considerarsi vincolante nei singoli Paesi. Un altro dei gravi problemi è che si dice di rinviare in Turchia tutte le persone che arrivano sulle coste greche senza aver presentato domanda di protezione internazionale. In sostanza si autorizza una sorta di respingimento collettivo, che è vietato però dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo.

Ma la vicenda più grave è un’altra: nell’accordo si allude, in una maniera volutamente ambigua, a una sorta di procedura di inammissibilità di massa delle domande d’asilo che prevede per le persone già presenti in Grecia una sorta di rinvio in Turchia come paese di primo asilo o “paese terzo sicuro”. Su quest’ultimo concetto crolla tutto l’impianto, perché la Turchia non risponde ai requisiti previsti dal diritto dell’Unione sul “paese terzo sicuro”. Il motivo è molto chiaro: la Turchia è l’unico Paese, tra quelli che hanno ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951, ad aver inserito una limitazione geografica, che prevedere che i cittadini non europei non possano godere dello status di rifugiato in Turchia».

Questo come si traduce sui milioni di siriani, iracheni e afghani che si trovano in Turchia?

«Si traduce nel fatto di non avere la protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra e neanche una tutela assimilabile alla nostra protezione sussidiaria, cioè quella prevista per i profughi in Europa, perché la legge turca non lo prevede. Hanno insomma uno status ibrido di ospiti temporanei con diritti assai precari e lontani da adeguate forme di protezione».

Eppure la direttiva europea del 2013 su questo è abbastanza chiara, no?

«Infatti. La direttiva europea 32 del 2013, che comunque, va ricordato, è molto contestata anche sul piano giuridico proprio per via della presenza del concetto di “paese terzo sicuro”, autorizza questo status per paesi che rispettino determinate condizioni. Si chiede insomma che il paese verso il quale si rinvia la persona sia veramente un paese terzo sicuro, stavolta in senso reale e non giuridico, cioè applichi gli stessi parametri del diritto dell’Unione europea per quanto riguarda la protezione e preveda espressamente, come scritto nell’articolo 38, la possibilità di chiedere lo status di rifugiato. Ecco, in Turchia questa possibilità non esiste, quindi per chi ha fatto questo accordo i casi sono soltanto due: o non si sapeva di questo vincolo, oppure se lo si sapeva si è comunque cercato di aggirarlo.

Siamo di fronte a una situazione che non abbiamo mai visto per la gravità del procedimento e per il tentativo di annullare le basi fondamentali del diritto d’asilo in Europa».

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Foto By Photo: Délmagyarország/Schmidt Andrea – http://www.delmagyar.hu/szeged_hirek/mar_lathato_a_kettos_kerites_morahalomnal/2441345/, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42283722

Tra queste basi fondamentali rientra anche l’idea di asilo come diritto individuale. Anche questo viene messo in discussione?

«Sì, in realtà stiamo assistendo, non da oggi, a due processi. Uno è proprio la deindividualizzazione del diritto, perché ormai si parla di gruppi, di masse, di nazionalità, mentre il principio fondamentale della Convenzione di Ginevra, ma anche del concetto di protezione internazionale come definito nelle direttive dell’Unione, è l’esame individuale della domanda d’asilo.

Il secondo è il principio di una vera e propria delocalizzazione, per cui il concetto di paese terzo sicuro o di paese d’origine sicuro viene utilizzato a mani basse per individuare il paese che deve tenere i rifugiati per conto e a nome di tutti gli altri. Ovviamente si punta a fare in modo che questo paese sia fuori dall’Unione europea, oppure che sia ai limiti, e la Grecia in qualche modo viene chiamata, almeno parzialmente, a svolgere queste funzioni. È un processo di svuotamento del principio per cui le domande sono individuali e per cui ogni paese esamina le domande che gli vengono presentate».

È plausibile che parti di questo accordo vengano rigettate dalle corti europee?

«Certo, avverrà sicuramente. Tuttavia anche qui ci sono due problemi: il primo è riuscire a produrre e ottenere degli atti amministrativi da impugnare, perché se il respingimento o il rinvio avviene soltanto di fatto, come nella storia è avvenuto e ha portato per esempio a delle condanne per l’Italia in seguito ai fatti del 2008, nel momento in cui non si lascia traccia di queste azioni diventa estremamente difficile per le persone adire a una qualche forma di giustizia.

Il secondo motivo fondamentale è che queste procedure sono lunghe e farraginose: i ricorrenti possono avere ragione anni dopo gli eventi, nel frattempo devono lottare per sopravvivere ogni giorno e quindi probabilmente la prima cosa di cui si occuperanno non sarà un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Qui entra in gioco il problema dell’effettività dei diritti, che è già molto bassa in Europa, molto più bassa di quello che molti ritengono, e che probabilmente è proprio nei momenti di crisi si vede quanto è difficile nella realtà concreta tutelare i diritti fondamentali delle persone deboli in condizioni di estrema fragilità».

C’è un principio ancora meno chiaro degli altri, ovvero quello secondo cui, come recita l’accordo, “per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’Unione europea tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite”. Come funzionerà?

«Il principio “uno fuori e uno dentro” effettivamente è quello che lascia più attoniti, nel senso che non si parla solamente di individui, ma espressamente di una nazionalità, quella siriana. L’accordo dice che per ogni siriano che verrà rinviato in Turchia un altro siriano verrà invece inserito nel programma di reinsediamento. Provate a sostituire la parola “siriano” con la parola “ebreo”: l’immagine è davvero terribile».

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Foto By SV – http://www.slovenskavojska.si/odnosi-z-javnostmi/sporocila-za-javnost/novica/nov/sodelovanje-slovenske-vojske-pri-podpori-policije-fotoreportaza-rigonce-dobova-brezice/, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44418958

A quale titolo verranno riammessi in Turchia i siriani rimandati indietro?

«Non si sa. Potrebbero essere rimandati in Turchia come richiedenti asilo, e quindi in virtù del concetto di paese sicuro non potranno nemmeno chiedere protezione, oppure perché non hanno inoltrato la domanda d’asilo, ma in questo caso i siriani comunque non potrebbero essere respinti perché si andrebbe a violare il principio di non respingimento verso zone insicure.

Se i siriani hanno diritto alla protezione, allora perché quel siriano che è arrivato viene rinviato e scambiato con un altro? A nostro parere perché c’è una logica punitiva».

Che cosa intende?

«A dire il vero lo si dice espressamente anche nelle dichiarazioni dell’accordo: quel siriano che viene “restituito” alla Turchia non doveva tentare di arrivare in Europa, e per questo all’Europa non interessa cosa gli potrà accadere, ma prendiamo al posto un altro siriano che non ha cercato di raggiungere i nostri Paesi. È come se trattassimo le persone come degli oggetti, come dei bambini da punire a seconda dei comportamenti. Dietro questo atteggiamento c’è una logica totalitaria, e vorrei che questo fosse il punto che, al di là di ogni tecnicismo, segnasse la coscienza critica dei cittadini europei. Oggi questa logica si applica nei confronti degli ultimi, domani forse nei confronti degli altri. Come cittadino europeo sono preoccupato dal fatto che si possa essere anche solo sfiorati da pensieri di questo tipo, figuriamoci quando vengono tradotti in accordi internazionali».

Tra l’altro in questi giorni si annunciava la chiusura della rotta balcanica, ed ecco che si è riaperta quella mediterranea. Ancora una volta stiamo cercando di “svuotare il mare con un cucchiaino”?

«Sì, al punto che questo accordo non è stato neppure accompagnato da una misura che non l’avrebbe giustificato, ma l’avrebbe almeno inserito in una logica di realismo politico, cioè un reale programma di reinsediamento. E a ben vedere questa intenzione non c’è.

Tornando al discorso di prima, non è neppure vero che si procederà con il principio di “uno lo mandiamo indietro e uno lo teniamo”, perché l’Unione europea ha posto dei numeri molto bassi al reinsediamento dei siriani. L’Europa non accetta di prendere centinaia di migliaia di persone dalla Turchia verso l’Europa, e quindi non crea dei canali umanitari sicuri. Il programma si fonda su numeri poco noti ma comunque bassissimi, per cui possiamo dire che stiamo parlando di un qualcosa di inesistente, parliamo di nulla. È un periodo veramente cupo, non c’è che dire».

Foto By Bundesministerium für Europa, Integration und ÄusseresArbeitsbesuch Mazedonien, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42827236