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Nel XII secolo la prima visita dei valdesi a Roma?

In occasione del recente incontro in Vaticano di una delegazione di chiese evangeliche guidata dal moderatore della Tavola valdese, molti giornalisti – come già era successo in occasione della visita del papa nel tempio valdese di Torino – hanno parlato di fatto storico e di «prima volta» per i valdesi.

A dire il vero una delegazione, probabilmente con Valdo e alcuni «Poveri di Lione», era già stata accolta in Vaticano. Nel vecchio film muto sui valdesi, Fedeli per secoli, prodotto dalla Tavola valdese nel 1925, recentemente restaurato (e disponibile in dvd), tutta la prima parte è dedicata alla storia di Valdo, compresa la visita in Vaticano. Siamo nel 1179 e un gruppo di valdesi si mette in viaggio verso la città eterna, per esporre ai Padri riuniti in Concilio e a Gregorio VII la loro situazione e chiedere di poter predicare. I vescovi della Liguadoca e di Provenza denunciano l’ avanzata minacciosa degli eretici càtari, che da movimento evangelico si stavano trasformando in una sorta di setta dei «puri».

A Roma si sta svolgendo il III Concilio lateranense che sanzionerà il nuovo corso della politica papale, iniziato da Gregorio VII. I Poveri sono ben ricevuti e c’ è anche un abbraccio tra uno di loro (Valdo stesso?) e il papa. Gli consegnano la loro Bibbia e chiedono che sia concessa a tutti la libertà di predicare. Vi erano anche donne che predicavano. Nell’ interrogatorio dottrinale alcune domande mettono un po’ in difficoltà i Valdesi (in particolare quelle su Maria), ma comunque non sono scomunicati e, per quanto riguarda la predicazione, il papa rimanda l’ autorizzazione ai vescovi locali. I valdesi rifiutano di obbedire e Valdo risponde con le parole di Pietro e Giovanni: giudicate voi se è giusto, nel cospetto di Dio, di ascoltare voi anzi che Dio» (Atti 4, 19). Parole che anticipano il «Qui sto. Non posso altrimenti» di Lutero, davanti all’ imperatore Carlo V, alla Dieta di Worms (1521).

Tornando all’ attualità e considerando gli incontri del papa con i protestanti italiani, quello con il patriarca ortodosso, quello avvenuto pochi giorni fa con il presidente della Federazione delle chiese protestanti in Svizzera, quelli previsti in ottobre in Svezia con i luterani, riflettendo sul Giubileo indetto proprio quest’ anno, senza il tradizionale preavviso, è chiaro che siamo in presenza di una attenta strategia di papa Bergoglio in vista di un suo ruolo nelle celebrazioni del 1517, i 500 anni della Riforma protestante. Siamo abituati alle fotografie simboliche di molti incontri ecumenici nelle quali il papa si colloca al centro dell’ emiciclo formato dai rappresentanti delle altre chiese. Possiamo immaginare quanto ci sarà di inevitabile (perché ecclesiastically correct) nell’ organizzazione dei vari «eventi» (tutto ormai si chiama così, non importa il contenuto.) Vorremmo però che ci si ricordasse, specie da parte riformata e luterana, che si tratta di festeggiare la Riforma (quella di Lutero, non anche del Concilio di Trento).

Non è stato Lutero a volere la divisione nella chiesa cattolica, ma è stato certamente Lutero ad affermare che è solo la grazia di Dio che ci salva in Gesù Cristo, che la presenza di Cristo risorto rende superfluo un suo vicario, sulla terra; che l’ esistenza di uno Stato Vaticano e del potere temporale che esso esercita non va d’ accordo con la sobrietà evangelica, che tra altro il papa raccomanda. I fondamenti dottrinali cattolici sono oggi gli stessi del Concilio di Trento. Nell’ essenziale non è cambiato nulla.

Il che non ostacola l’ ecumenismo, ma previene la confusione e impedisce che il 2017 si concluda con la convinzione che siamo tutti salvati con un po’ di fede, un po’ di grazia, un po’ di opere, un po’ di Scrittura, un po’ di tradizione… et voilà.