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Bruxelles si lecca le ferite ma non abbassa la testa

Nella mattina di martedì 22 marzo tre esplosioni in due luoghi diversi di Bruxelles, hanno sconvolto il Belgio e fatto tornare l’Europa nella paura del terrorismo simile a quella del 13 novembre a Parigi. Due esplosioni all’aeroporto di Zaventem e una nella stazione metropolitana di Maalbeek, nel centro della città, hanno provocato 31 morti e più di 250 feriti. Ci sono ancora alcuni dispersi e vittime non riconosciute: da poche ore si apprende la notizia di una probabile vittima italiana nell’attentato. Con Donatella Rostagno, segretaria esecutiva dell’EurAc, rete europea per l’Africa centrale, che vive e lavora a Bruxelles, abbiamo cercato di capire quale percezione hanno i cittadini il giorno dopo gli attacchi.

Come avete appreso la notizia?

«Da quando ci sono stati gli attacchi a Parigi, Bruxelles è stata più militarizzata del solito: davanti a edifici importanti, nelle stazioni, alle fermate della metropolitana la presenza di soldati è costante. Ma anche a questo ci si abitua,e velocemente si rientra nella routine quotidiana. Quando poi ieri mattina siamo arrivati in ufficio lo shock è stato grande, non si è mai preparati a questo tipo di eventi, soprattutto quando succedono così vicino. Io in realtà ho ricevuto la notizia dall’Italia, da amici e membri della famiglia, che hanno iniziato a chiedermi informazioni. Durante il primo attacco non ero ancora connessa, ma poco dopo le informazioni hanno iniziato a girare e poi c’è stato l’attentato nella stazione della metropolitana accanto al mio ufficio. A quel punto ognuno è restato dov’era, cercando di seguire le informazioni più aggiornate. Ho dei colleghi che non sono riusciti a raggiungere l’ufficio perché si è interrotto il sistema di trasporti».

Com’è oggi la situazione a Bruxelles?

«Il Governo ha decretato tre giorni di lutto nazionale. Gli uffici, le scuole, i negozi sono in funzione. Il mio ufficio è nella zona delle istituzioni europee e posso dire che le forze di sicurezza hanno creato un perimetro intorno agli edifici: non si può entrare nelle strade adiacenti alle istituzioni a meno che non si abbia un lasciapassare. Per il resto anche i mezzi pubblici funzionano, eccetto le stazioni vicine a Maalbeek, che è stata colpita dall’attacco. Molti ristoranti sono chiusi, a molte persone che lavorano nelle istituzioni europee è stato chiesto di restare a casa e lavorare da lì. Le misure più rigide sono solo in questo quartiere, per il resto oggi si è ritornati a una certa normalità. La vita continua, nonostante il livello di allerta 4, il massimo in Belgio, decretato ieri dalle autorità. Sappiamo che la polizia sta facendo delle indagini, ma lo apprendiamo soprattutto dai media: noi vediamo solo la polizia nelle strade o sentiamo le sirene. È ovvio che dopo questi fatti si è meno tranquilli a recarsi nei grandi centri commerciali o a prendere la metropolitana: oggi andrò a piedi ai miei appuntamenti lavorativi. Dopo gli attacchi di Parigi c’era stata effettivamente una situazione di coprifuoco, le scuole erano state chiuse e le indicazioni da parte del governo belga erano di restare in casa. Oggi non è più così, il Consiglio di sicurezza belga si è riunito ieri e ha deciso questa strategia».

Quali sono state le reazioni politiche interne?

«Ieri le reazioni sono state di grande unità: in Belgio questa è una questione politica molto forte, sempre dibattuta. Ieri i messaggi del primo ministro e del re sono stati messaggi di forza e di unità, non si è rientrati nella polemica politica. Forse scatterà nei prossimi giorni, ma per ora Bruxelles si sta leccando le ferite, indagini in corso, persone disperse, notizie di cari scomparsi: non è ancora il momento per le polemiche».

In Francia, spesso si parla delle periferie delle grandi città come luoghi in cui i fenomeni sociali non sono seguiti dalle istituzioni e in cui il dissenso anche violento può svilupparsi: ci sono situazioni analoghe in Belgio?

«Bruxelles è una città costituita da vari comuni che assomigliano agli arrondissement parigini, come dei grandi quartieri nella città. Ogni comune ha una sua storia, ci sono quelli più multiculturali come Molenbeek e Schaerbeek, e quelli meno. Io vivo a Schaerbeek, che è un comune molto grande. Tutta la città è multiculturale con zone più ricche e altre più povere, con livelli di integrazione differente, questo è importante da considerare. Le persone che hanno fatto gli attacchi vivevano in città da molto tempo, anche qui ci sono zone con problemi di integrazione sociale maggiori e quindi probabilmente con persone più esposte e attirate a far parte di questo tipo di gruppi. Ma sinceramente non generalizzerei».

Foto: Di Mario Scolas da es, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1699384