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Lotteria Europa

L’accordo è stato raggiunto. Quello che le organizzazioni umanitarie temevano – il respingimento dei profughi in un paese terzo per proteggere le frontiere europee – si è realizzato: dal 20 marzo l’Europa non accetta più persone che entrino irregolarmente sul proprio territorio, anche se sono in fuga da una guerra. Fallito il piano di relocation, la ridistribuzione nei diversi Paesi aderenti all’Unione secondo quote di accoglienza dei richiedenti asilo, si è passati al “piano b”, che è di fatto una rinuncia a prendersi in carico la «più grave emergenza umanitaria dal secondo dopoguerra», come l’ha definita la presidente della Camera Laura Boldrini, e trasforma i migranti in merce di scambio. Secondo il programma firmato dai 28 leader europei, tutti gli immigrati irregolari verranno rimandati in Turchia e per ogni migrante che ritorna indietro un altro, con i requisiti per chiedere il diritto di asilo, arriverà invece in Europa con regolare permesso. Per ora pare che il tetto massimo di questi nuovi ingressi sia stato fissato a 72mila persone, un numero bassissimo rispetto al milione di persone arrivate in Europa via mare soltanto nel 2015. Non sono chiari i criteri con cui saranno selezionati gli aventi diritto, in questa macchinosa roulette russa dell’accoglienza che parla di numeri e dimentica che si tratta di esseri umani, per la metà donne e bambini, che hanno rischiato la vita su imbarcazioni precarie nella speranza di raggiungere la Grecia (e in misura minore l’Italia) e da lì risalire verso il nord Europa. Senza considerare che la Turchia non aderisce alla convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e per questo nell’accordo è stata inserita la clausola secondo la quale la Turchia s’impegna a rispettare i diritti dei migranti in base agli standard internazionali. In che modo? Chi vigilerà? Intanto si sta già verificando il paradosso che vede la Grecia, che invece ha ratificato la convenzione, respingere i profughi verso un Paese che non la rispetta, infrangendo di fatto il diritto internazionale.

«Credo si debba avere una grande preoccupazione per l’esito di questo vertice – commenta Paolo Naso, coordinatore del progetto Mediterranean Hope della Fcei – perché rappresenta la realizzazione di un obiettivo concepito alcuni mesi fa nel processo di Karthoum, un accordo firmato con diversi paesi africani in cui ci si proponeva di esternalizzare le frontiere dell’Unione, spostando fuori dai confini europei il luogo dove gestire le richieste d’asilo. In questo modo l’Unione europea rinuncia alla sovranità in materia di sicurezza e di politiche di asilo».

Gli stessi dubbi erano stati avanzati, già prima dell’approvazione dell’accordo, dal presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, il pastore Luca Maria Negro, che aveva parlato di «illusione dell’Europa di creare una barriera in Turchia che fermi le migrazioni dal Medio Oriente e dal Nord Africa, che si trasformerà in un incubo per migliaia di rifugiati e richiedenti asilo, intrappolati in enormi centri di accoglienza, privi di tutela giuridica ed esposti all’arbitrio di autorità di polizia svincolate dalle norme e dai principi dell’Unione europea».

Le domande di asilo dovrebbero essere esaminate una per una: per questo si parla di 2300 funzionari che nei prossimi giorni raggiungeranno le isole greche, principale destinazione dei migranti. E in teoria il processo di rientro dovrebbe essere risolto in pochi giorni, previsione del tutto inattendibile: «E’ un obiettivo velleitario – conferma Paolo Naso – una comunicazione rassicurante che l’Unione europea vuole dare per garantire che la situazione è sotto controllo ma la dimensione dei flussi non è gestibile in tempi così stretti e secondo misure così rigide. La lezione di questi ultimi anni ci dimostra che abbiamo bisogno di flessibilità, quindi non di barriere ma di canali umanitari che, con la mediazione dell’Unhcr e delle organizzazioni non governative, consentano alle persone di spostarsi in modo sicuro».

Nella sola isola di Lesbo, infatti, nel 2015 sono sbarcate quasi 500mila persone e più di 84mila sono arrivate fino a metà marzo di quest’anno. E’ difficile prevedere quello che succederà adesso: i quattro campi di transito dell’isola si stanno già svuotando ed è facile immaginare che le spiagge, fino a ieri presidiate dai volontari internazionali per il primo soccorso (soltanto dieci chilometri separano Lesbo dalla Turchia), ora saranno pattugliate dalla polizia greca e turca, determinate a respingere chiunque e, se possibile, a dissuadere nuove partenze. Una militarizzazione delle coste, dunque, già adesso sotto il controllo delle navi della Guardia Costiera ma anche di Frontex e dei mezzi della Nato. L’hot spot di Moria, vicino al capoluogo dell’isola, Mytilene, diventerà un centro di detenzione degli irregolari, che saranno registrati e poi mandati ad Atene per la domanda di asilo o direttamente in Turchia. Per questo “servizio” all’Europa, la Turchia – peraltro alle prese con divisioni e problemi interni, non ultimo l’attentato del 19 marzo a Istanbul – riceverà subito 3 milioni di euro, a cui si aggiungeranno presto altri 3 milioni e la possibilità per i cittadini turchi di viaggiare in Europa senza visto, insieme alla parziale riapertura della domanda di accesso nell’Unione Europea da parte della Turchia. Con la chiusura delle frontiere ad Idomeni, in Macedonia, al momento ci sono già 50mila migranti bloccati in Grecia, mentre in Turchia vivono attualmente 2 milioni e trecentomila siriani scappati dalla guerra. Chi di loro vincerà la lotteria Europa?

Foto: Irish Defence Forces – https://www.flickr.com/photos/dfmagazine/18898637736/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=41045858