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Chiese che uniscono

Pareti e soffitto di pietra e dimensioni simili a quella di una cappella. La chiesa di San Giorgio a Bourqin, in Palestina, è una delle più antiche al mondo: venne costruita nel IV secolo dopo Cristo su impulso di Sant’Elena, la madre dell’imperatore , sulle colline dell’attuale Cisgiordania. In origine era poco più di un pozzo, una cisterna, riservata ai lebbrosi, qui rinchiusi per evitare di contagiare altre persone. Il cibo veniva loro passato da una grata e nessuno voleva avere a che fare con questi reietti che secondo le tradizioni dell’Antico testamento pagavano con i dolori del corpo le proprie colpe terrene. Nessuno tranne Gesù, di passaggio durante il viaggio a Gerusalemme, come raccontato dall’evangelista Luca al capitolo 17, 11-19, il celebre episodio della guarigione dei dieci lebbrosi:

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!»
Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?» E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Oggi la chiesa di San Giorgio è tornata a nuova vita grazie ad importanti lavori di restauro, avviati e condotti a braccetto dal Patriarcato ortodosso di Gerusalemme e dall’Autorità nazionale palestinese, che è stato l’organismo di governo dei territori dal 1994, all’indomani degli storici accordi di Oslo, fino al 2013 quando è stato formalmente creato lo stato di Palestina.

Cristiani e musulmani dunque, insieme in un’operazione di recupero dell’importante sito, che potrebbe significare anche una svolta da un punto di vista turistico per l’intera area.

Ma più ancora va sottolineato il carattere ecumenico dell’operazione: la chiesa è greco-ortodossa ma è l’intera comunità ad averla adottata, riconoscendone l’altissimo valore storico e culturale. E i cristiani non sono certo la maggioranza a Bourqin, 7 mila abitanti a 5 chilometri da Jenin, anzi: sono 72 quelli attualmente censiti di fede ortodossa, e qualche decina i cattolici, superstiti di gruppi che in passato erano assai più ampi; tutti gli altri sono islamici. E pensare che solo all’inizio del XX secolo le proporzioni erano invertite.

Tutti si sono adoperati, con donazioni o prestando la propria manodopera, per ridare vita e luce agli affreschi, ai mosaici, alle decorazioni e ai giardini. Dall’epoca ottomana la chiesa era in stato di abbandono, in questa fetta all’estremo Nord dei territori palestinesi, quasi al confine con Israele, una rotta esclusa dai principali flussi turistici che puntano verso Gerusalemme a Sud o alle spiagge di Haifa ad Ovest. Nel 2000 poi, al tempo della seconda intifada, l’esercito israeliano aveva sostanzialmente bloccato l’accesso all’intera provincia, e di conseguenza i visitatori hanno iniziato a privilegiare la non lontana Nablus, dove sorgono il pozzo di Giacobbe, in cui Cristo incontrò la Samaritana, e la tomba di Giuseppe.

Da quando questa meraviglia architettonica è stata restituita al territorio, sono iniziate le visite, soprattutto da parte di gruppi di fedeli ortodossi, ma anche di molti abitanti della Palestina, siano essi cristiani o musulmani.

L’importante investimento economico mira quindi anche a tentare di offrire un’alternativa alle piantagioni di olivi e alle coltivazioni di legumi, in pratica le uniche fonti di reddito della zona.

Un esempio di integrazione e dialogo positivo, proprio in una terra crocevia delle principali religioni monoteiste, in tempi in cui le divisioni in nome di Dio stanno condizionando la vita di tutti noi.