istock_000022846892_xxxlarge

Bambine senza scuola, pianeta senza futuro

Complici le mimose, la “festa della donna” la ricordano tutti. Gli stessi che ignorano l’esistenza di una giornata mondiale delle bambine, fissata dalle Nazioni Unite l’11 ottobre. Due date per una ragione sola, perché le bambine di oggi sono le donne di domani: prendersi cura delle prime equivale a prendersi cura di più di metà del futuro dell’umanità.

A livello globale, uno degli aspetti più devastanti della discriminazione di genere riguarda appunto l’esclusione scolastica femminile. La povertà famigliare, il fenomeno delle spose bambine, le gravidanze precoci, l’inesistenza legale – su 50 milioni di esseri umani non registrati nel mondo, la maggioranza è di sesso femminile – sono solo alcuni dei fattori che, nei paesi in via di sviluppo, inibiscono l’accesso femminile all’istruzione primaria; una discriminazione difficile da combattere proprio perché molto spesso è legata a tradizioni, retaggi culturali e aspettative che soltanto l’istruzione avrebbe il potere di modificare.

Nel lontano 2000, in occasione del World Education Forum che si tenne a Dakar, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco) aveva lanciato il programma “Educazione per tutti” al fine di conseguire la scolarizzazione universale entro il 2010 (una scadenza poi protratta al 2015). Nonostante questa strategia pluriennale, gli ultimi dati Unesco ci confermano che, in tutto il mondo, 16 milioni di bambine nella fascia d’età compresa tra i 6 e gli 11 anni non andranno mai a scuola, il doppio rispetto al numero dei loro coetanei bambini. Un divario che caratterizza soprattutto i paesi arabi, dell’Africa subsahariana e dell’Asia sud-occidentale. 

Nella sola Africa subsahariana, dove più di 30 milioni di minori in età scolastica primaria non risultano scolarizzati, si stima che siano 9 milioni e mezzo le bambine che non avranno mai accesso ad un’aula scolastica, a fronte di 5 milioni di bambini. Una discriminazione che in termini relativi è ancor più pronunciata in Asia, dove a essere escluse da un’istruzione formale sono 4 milioni di bambine, l’80% dei minori analfabeti.

Cosa si è fatto, in anni recenti, per opporsi a questo fenomeno? Nel 2012, due giorni dopo l’attentato talebano a Malala Yousafzai – l’attivista pakistana che nel 2014 vinse il Nobel per la pace proprio in virtù del suo “discorso sull’educazione” – l’organizzazione Plan International ha lanciato la campagna mondiale Because I am a girl, con il preciso obiettivo di «abbattere tutte le barriere che impediscono alle bambine di vedersi riconosciuto il diritto a completare il ciclo di istruzione con almeno nove anni di educazione di qualità».

Due anni fa, in vista della giornata internazionale della donna, l’Unicef ha invece promosso l’”Otto marzo delle bambine”, sforzandosi per l’occasione di divulgare in diverse lingue i dati allarmanti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (Unfpa) e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo). Risalenti al 2014, questi numeri fanno luce sul fatto che l’esclusione femminile dalla scolarizzazione non si limita a ledere un diritto fondamentale sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, ma è alla base dei problemi sociali ed economici del “terzo mondo”. Secondo lo studio delle principali organizzazioni internazionali, ragazze mediamente istruite hanno fino a sei volte meno probabilità di sposarsi precocemente, un fatto che riduce i tassi di mortalità infantile e aumenta la retribuzione salariale femminile (e quindi la ricchezza del paese).

Commentando i dati aggiornati, Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco, ha dichiarato: «Non raggiungeremo nessun obiettivo di sviluppo sostenibile senza prima sconfiggere la discriminazione che di generazione in generazione mina la vita delle ragazze e delle donne». 

Images ©iStockphoto.com/ElinaManninen