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Le sfide del protestantesimo cinese

Oggi nella provincia di Fujian, nel sud-est della Cina, di fronte a Taiwan, esistono una ventina di scuole bibliche e di seminari “ufficiali”. Il seminario protestante di Nanchino continua ad essere il principale centro per la formazione di pastori nell’immenso stato asiatico. Il 18 dicembre scorso, nella cappella della scuola di teologia di Fuzhou, sono stati ordinati 30 nuovi pastori. Di età compresa fra i 30 e 45 anni, sia uomini che donne, hanno tutti studiato almeno tre anni nelle scuole di teologia protestante, e ora sono pronti a prestare servizio in uno dei numerosi luoghi di culto di questa provincia costiera, fra le più ricche economicamente del paese. Dopo aver perfezionato la formazione con almeno sei anni di servizio presso una chiesa locale i 30 candidati hanno chiesto e ricevuto dalle varie autorità civili e religiose competenti l’autorizzazione a divenire ministri di culto. Di contro nelle stessa provincia negli ultimi tre anni non si riscontrano ordinazioni sacerdotali da parte della Chiesa cattolica “ufficiale”, mentre non sono disponibili dati della parte cosiddetta “clandestina” perché non riconosciuta dalle autorità governative.

Negli anni che sono seguiti alla messa in atto delle riforme iniziate da Deng Xiaoping, a partire dal 1979, grazie alla riapertura delle istituzioni religiose, chiuse durante la Rivoluzione culturale fra il 1966 e il 1976, la formazione dei pastori cinesi è mano a mano migliorata. Fra gli anni ’80 e ’90 non rimanevano che pochi pastori anziani, formati dai missionari occidentali. La capacità organizzativa e il supporto di molti stranieri hanno portato ad un rinnovato interesse nei confronti della missione pastorale, in concomitanza con il boom dei protestanti in Cina.Che oggi sarebbero oltre cento milioni con previsioni di crescita notevolissime, tanto che nel 2030 la tigre asiatica potrebbe diventare la nazione con la presenza maggiore di cristiani nel mondo.

Certo le relazioni con il gioverno di Pechino non sono semplici seppur le varie confessioni protestanti siano ufficalmente riconosciute, ma il Partito comunista non ha abbassato la guardia verso quello che considera un problema. La ricetta proposta è quella della sinizzazione delle religioni, dell’adeguamento cioè del messaggio di Dio alla realtà economica, sociale, politica della Patria. Socialismo e religione dovranno gioco forza convivere, perché le seconde possano continuare a sopravvivere senza subire troppe angherie, che invece sono in corso da anni, come la campagna per la demolizione delle chiese che ha portato alla distruzione di centinaia di luoghi di culto, ufficialmente per questioni urbanistiche, anche se ben altri appaiono i fini. Di contro i leader politici dovranno prima o poi rendersi conto che gli iscritti al Partito sono circa 86 milioni, in pratica quanto i cristiani. Gli equilibri sono destinati a cambiare e i dinosauri di Pechino dovranno gioco forza prenderne atto.