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La promessa della liberazione

Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annunzia la pace, che è araldo di notizie liete, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Il tuo Dio regna!»
Isaia 52, 7

Mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dall’evangelo della pace
Efesini 6, 15

«Abbiamo vinto» esclamò Fidippide rientrato di corsa ad Atene dalla pianura di Maratona per comunicare la vittoria sui persiani. Storia o leggenda che sia, non c’è illustrazione migliore per questo versetto di Isaia. Nel corso dei secoli vi sono stati altri annunci di liberazione o salvezza: uno, che ci tocca da vicino, è stato celebrato lo scorso 17 Febbraio! Eppure, nessuno risplende attraverso i millenni come quello dell’antico profeta. Persino l’eco di vittorie militari decisive come quella di Wellington, celebrata da Beethoven, affievolisce davanti alla proclamazione che: «Dio regna» (Is. 52, 7).

A un popolo sconfitto, deportato e ridotto in schiavitù, giunse la promessa della liberazione. A uomini e donne immersi nelle tenebre della morte fu assicurato il ritorno alla vita: la pena era scontata, il passato dimenticato. Ancora una volta il Signore, fedele a se stesso, era pronto a tendere la mano e a rialzare il suo popolo, dopo averlo severamente schiaffeggiato. Ora altri, sarebbero stati i volti percossi, altre avrebbero pianto e fatto cordoglio…

Questa buona novella vale anche per noi? Sì, certo. Però, in questi anni di missioni (militari) di pace, di ripresa economica sempre (di là) a venire, di cambiamenti sociali, oltre che ricettori bisognerebbe sforzarsi di essere ripetitori. Per comunicare la vittoria ateniese, Fidippide fu pronto a correre per una quarantina di chilometri ma, proprio oggi che tutti possiedono un’automobile, le distanze sembrano incolmabili. L’Evangelo è meno bello? La grazia meno misericordiosa? Dio meno buono? Perché tanta ritrosia, tanta fiacchezza, come se fossimo del tutto privi di talenti?

Che «Dio regna» (Is. 52,7) è una buona notizia: per me, per te; dona gioia e serenità, rende belli quelli che la annunciano. Paolo non si vergognava dell’Evangelo (Rom. 1, 16): dovremmo noi? Ritengo di no, perché pure ai nostri giorni all’«araldo di notizie liete» (Is. 52,7) si dice: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Sal. 118, 26).

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