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Quando invece del Tav si costruiva il Canale Cavour

Le “grandi opere” nel nostro paese non godono di buona fama. Eppure non c’è governo che non le prometta, all’interno di quel rituale “rilancio delle infrastrutture” ritenuto fondamentale per la crescita. Ma in troppi casi la crescita non è stata quella dell’occupazione, del lavoro, bensì della corruzione e dell’infiltrazione mafiosa, degli appalti come merce di scambio politico, dei sistemi per eludere i controlli (la famosa legge obiettivo del 2001, quando Berlusconi prometteva 285 miliardi di opere pubbliche e l’efficace Bertolaso – possibile futuro sindaco di Roma – decideva prontamente dove e cosa nella protezione civile, o, meglio incivile, come sanno bene gli aquilani…).

Dal 1981 esiste una Società del Ponte di Messina che studia, progetta, misura e soprattutto incassa, e magari continuerà anche senza che il ponte si faccia, visto che i governi, a turno, lo vogliono o non lo vogliono, con l’aggravante che cambiando opinione si pagano penali salate.

Del Tav si è detto tutto e si sa ancora poco: di certo i costi sono di molto superiori ai benefici. E sul Mose di Venezia, vediamo prima se tiene. L’unica grande opera di cui l’Italia ha veramente bisogno, che creerebbe centinaia di migliaia di posti di lavoro, è la manutenzione del territorio, periodica, costante, fatta di tanti piccoli ma decisivi interventi. Invece,dopo i dissesti idrogeologici si fa quella appariscente opera con tonnellate di cemento che franerà al prossimo nubifragio…

Non è stato sempre così. Proprio nel 2016 sono 150 anni dall’inaugurazione del famoso Canale Cavour, che provvede all’irrigazione di gran parte della Pianura Padana correndo da Chivasso a Vigevano, con imbocco e uscita nel fiume Po e integrandosi con la fitta rete di canali collaterali. Un’area che, come noto, è diventata il triangolo d’oro del riso.

Il conte Camillo Benso di Cavour, statista decisivo per l’Unità d’Italia (amato dai piemontesi e molto meno da napoletani e siciliani!) all’epoca presidente del Consiglio, fu sostenitore dell’idea, affidò il progetto del canale all’ingegnere Carlo Noè, il Parlamento approvò nel 1862, e l’opera fu ultimata in soli tre anni, (l’Autostrada del sole forse sarà completata con le 4 corsie fino a Reggio Calabria entro Natale prossimo), nel 1866, quando Cavour era già morto, sotto l’impulso dei ministri Quintino Sella e Gioacchino Piepoli. Il canale, tutto di pietra e mattoni, con 101 ponti, 210 sifoni e 62 ponti-canale, lungo 85 km, è considerato la più grande opera di ingegneria idraulica mai compiuta in Italia. Ci lavorarono 14000 operai che utilizzarono 120 milioni di mattoni e 8000 metri cubi di pietra da taglio. Fa riflettere (pensando al tema oggi dibattuto delle unioni di comuni) che per realizzare il Canale Cavour si dovettero accordare ben 23 comuni della Regione Piemonte.

Ma, ripensando a questa impresa, il suo significato va assai oltre l’ingegneria idraulica,mostra come sia possibile impegnare parte sostanziosa del denaro pubblico creando infrastrutture che funzionano perfettamente anche 150 dopo essere state costruite; fa capire come una politica liberista possa convivere proficuamente con una profonda cultura dello Stato.

Qui si può a ragione parlare di grandi opere: perché porgono attenzione alla gestione dei beni comuni, perché i risultati positivi superano di gran lunga i costi, perché si tratta di opere veramente utili alla collettività, perché il far bene le cose viene prima del tornaconto di impresa.

Un governo che vuole rilanciare le infrastrutture e puntare sulla crescita, non guarda allo zero virgola del Pil ma dovrebbe avere una visione strategica, un piano per il futuro del paese e non per restare in carica un altro anno.

Ma può fare un serio piano del lavoro un parlamento che passa le giornate a discutere e votare migliaia di emendamenti e non è capace di approvare rapidamente una legge sulle unioni civili già in vigore in tanti altri paesi, che bastava copiarla?

E sul piano del lavoro: sessant’anni fa ci aveva provato a farlo anche il sindacato, la Cgil con Di Vitorio, ora invece Camusso e Landini vanno in televisione a litigare fra di loro per fare audience, con buona pace dei disoccupati.

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