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Acqua di vita, ma non per tutti

Secondo una recente ricerca, quattro miliardi di persone hanno difficoltà all’accesso all’acqua, almeno per un mese all’anno. Precedenti valutazioni, dice lo studio, hanno sottovalutato il problema, che vede in India e Cina le regioni in cui si manifesta maggiormente. Questo come altri problemi legati alle risorse naturali, rimandano immediatamente all’impatto dell’essere umano sull’ambiente: inquinamento, riscaldamento globale e inevitabili conseguenze sulla salute delle popolazioni.

Dal punto di vista dell’impegno delle chiese, sono in corso le “dieci settimane per l’acqua” un’occasione di riflessione teologica su giustizia e pace a partire dall’emergenza idrica organizzate dal Network ecumenico dell’acqua (Ewn) operante sotto l’egida del Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) in avvicinamento al 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua.

Inoltre, la prossima assemblea dell’Ecen, la rete europea cristiana per l’ambiente, a giugno, si svolgerà a Helsinki e avrà per tema proprio l’acqua.

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Parliamo di questi aspetti con Antonella Visintin, coordinatrice del gruppo su globalizzazione e ambiente della Federazione della Chiese Evangeliche in Italia.

4 miliardi di persone in crisi idrica: cosa ne pensa?

«Questa informazione non sorprende e sappiamo che l’emergenza idrica toccherà un numero sempre maggiore di persone, anche perché la popolazione mondiale sta aumentando in aree in cui il problema è più forte: un dato destinato a crescere. La tecnologia sta lavorando, pensiamo alle tecniche di desalinizzazione, ma è un elemento di cui non si coglie ancora la portata. Parlando di acqua, non possiamo non pensare al cambiamenti climatici, che in America latina per esempio hanno portato alla crisi del Rio delle Amazzoni».

A proposito di clima, cosa pensa dei risultati di Cop 21?

«Cerchiamo di cogliere gli elementi positivi e lo sforzo che l’Onu fa di tenere insieme i governi su un tema così lontano dalle loro agende: non può che essere positivo. Per molti stati sarebbe meglio non ci fosse un piano sul clima, perché è una complicazione rispetto a strategie che sono considerate prioritarie. Il cambiamento climatico è evidente: dovremmo bloccare la produzione entro cinque anni di oltre 400 tonnellate di Co2 sulla base del 2011: significa che i cambiamenti della tecnologia e dei modi di produrre dovrebbero avere una velocità che di fatto non hanno. Nel mondo la capacità produttiva è cresciuta del 36% dal 2000 al 2013, secondo Confindustria, perché una parte del mondo ha cominciato a soddisfare i propri bisogni. Spesso sono evidenti anche altre contraddizioni: dalla conferenza di Parigi per esempio sono stati espunti tutti quei termini che danno fastidio ai governi: non si parla di azzeramento dei gas serra, di neutralità climatica o di carbonizzazione, per esempio. Anche perché paesi come la Polonia hanno cominciato a produrre carbone in maniera significativa. Oltre a questi dati, Parigi dovrà essere ancora sottoscritta, ad aprile, e gli obiettivi dovranno essere efficaci nel 2020. L’Italia su molte questioni ambientali incorre in sanzioni che ovviamente vengono ribaltate direttamente su di noi cittadini: sanzioni che riguardano i rifiuti, la qualità dell’aria e che compromettono l’esito dello sforzo generale».

A proposito della riflessione cristiana, l’acqua è importante anche per le sue metafore…

«Effettivamente questo sarà un tema centrale nella prossima assemblea dell’Ecen insieme agli aspetti teologici, etici e spirituali che riguardano l’acqua e la cura del creato. Per noi è un tema collegato alla vita ma anche al rinnovamento spirituale, pensiamo al battesimo. L’acqua è corrente, mai stagnante, ed è una metafora di un’equa distribuzione, nel suo movimento cerca di stabilizzarsi».

Restando in Italia, si è spesso parlato di un tradimento dei referendum del 2011 sull’acqua pubblica: che ne pensa?

«Il referendum è disatteso, lo sa chi ha continuato a seguire il percorso dei comitati per l’acqua pubblica. Il percorso di privatizzazione continua e passa attraverso l’inglobamento delle varie società all’interno di poli di gestioni delle utilities, come Iren per il torinese. Questo tipo di percorsi, come si sapeva, non fanno che peggiorare lo stato del servizio idrico, perché comportano un taglio degli investimenti. Il problema è la strumentazione di Governo di cui noi avremo tremendamente bisogno, a fronte del fatto che in Italia oltre il 60 % del consumo idrico è legato all’agricoltura e nel bacino del Po si realizza il 35 % della produzione agricola nazionale. In un contesto in cui i ghiacciai si sciolgono e abbiamo assistito a una alta diminuzione delle precipitazioni nel 2015».

Forse l’acqua ci sottolinea ancora una volta come possiamo non fuggire dalle nostre responsabilità, per il benessere di tutta la popolazione mondiale.

Foto via Pixabay