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Non concorrenti ma fratelli

Si dice spesso, e a ragione, che il cammino ecumenico nasce dal basso e che, senza l’impulso del popolo cristiano, le gerarchie sarebbero continuamente tentate di chiudersi nella torre d’avorio dell’orgoglio e delle rivendicazioni confessionali. E’ pur vero, però, che ci sono stati nel corso della storia momenti di grazia in cui dei pastori lungimiranti hanno fatto compiere un salto in avanti, risvegliando la base dall’apatia e scuotendo la burocrazia clericale, ben accomodata nella propria autosufficienza dogmatica. L’incontro che si è svolto a Cuba il 12 febbraio tra papa Francesco e il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, è a mio giudizio uno dei questi.

Si tratta di un evento storico: in oltre mille anni dal cosiddetto battesimo della Rus’, mai prima d’ora il vescovo della prima Roma e quello della terza Roma (la seconda è considerata Costantinopoli) si erano incontrati di persona, faccia a faccia, occhi negli occhi, scambiandosi l’abbraccio di due fratelli nella fede. E’ un evento storico anche per il suo significato e per le conseguenze che avrà nel percorso verso l’unità dell’intera Ecumene cristiana. Su circa 200 milioni di cristiani ortodossi nel mondo, poco meno di 150 fanno capo alla Chiesa russa. Dunque, inutile nasconderlo: se il patriarcato ecumenico di Costantinopoli conta per il suo primato d’onore tra tutte le Chiese autocefale che si riconoscono nell’Ortodossia, quello di Mosca pesa per i suoi numeri e la sua forza nello scacchiere della “geo-politica delle religioni”.

“Incontrandoci lontano dalle antiche contese del Vecchio Mondo”, affermano papa Francesco e il patriarca Kirill nella loro dichiarazione conclusiva, “sentiamo con particolare forza la necessità di un lavoro comune tra cattolici e ortodossi, chiamati, con dolcezza e rispetto, a rendere conto al mondo della speranza che è in noi (cfr1 Pt 3, 15)”. E di contese tra Roma e Mosca, limitandosi anche solo al periodo che ha fatto seguito al crollo del muro di Berlino, ce ne sono state parecchie: quella sul proselitismo, ad esempio, di cui i russi accusavano i latini, rimproverandoli di aver approfittato della loro debolezza dopo 70 anni di ateismo di Stato per sbarcare nei territori canonici delle Chiese ortodosse creando diocesi cattoliche e tentare di “rubare” fedeli. Per non parlare poi della contesa sull’uniatismo, ancora oggi una ferita dolorosamente aperta in Ucraina, dove la Chiesa greco-cattolica fedele a Roma e la Chiesa ortodossa legata a Mosca sono divise su tutto, dalle questioni più antiche di carattere ecclesiastico e quelle più recenti di tipo squisitamente politico, riattizzate dalla guerra civile nel Donbass.

Dunque, non era affatto scontato che l’incontro tra il papa di Roma e il patriarca di Mosca, lungamente cercato nei decenni passati e sempre fallito finora, avvenisse questa volta. Eppure è successo. E si è svolto in un clima promettente di disgelo, amicizia e simpatia umana. “Non è stato un incontro politico, ma pastorale”, ha voluto chiarire Bergoglio. Due vescovi a capo di due grandi Chiese, dunque, che si sono confrontati sulle urgenze del loro tempo: dalle persecuzioni dei cristiani in molte aree del Medio Oriente al rischio di una deriva secolarista dell’Europa, dall’aumento della povertà e delle ingiustizie sociali nel mondo al pericolo ecologico che corre il pianeta terra. E ovviamente, tra tutte le questioni, il tema del dialogo: “I martiri del nostro tempo, appartenenti a varie Chiese ma uniti da una comune sofferenza, sono un pegno dell’unità dei cristiani”, afferma la dichiarazione comune. E prosegue: “Non siamo concorrenti ma fratelli, e da questo concetto devono essere guidate tutte le nostre azioni reciproche e verso il mondo esterno”. Esortiamo i cattolici e gli ortodossi di tutti i paesi ad imparare a vivere insieme nella pace e nell’amore”.

Certo, il disgelo è appena cominciato. Ma il primo passo è stato compiuto nella giusta direzione: non una santa alleanza di due potenze contro qualcuno o qualcosa, ma un nuovo spirito di comprensione reciproca e di riconciliazione, che dovrà avere ricadute positive sull’intero processo del dialogo tra i cristiani di ogni confessione. Perché, come ha detto il papa parlando ai giornalisti dopo l’incontro all’aeroporto dell’Avana, “l’unità si fa camminando. Che almeno il Signore, quando venga, ci trovi in cammino”.

Foto: By ניר חסון Nir Hason – ניר חסון Nir Hason, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=33333479