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Falak è finalmente arrivata a Roma

Falak ha sette anni e giovedì scorso, insieme ai suoi genitori e al fratellino Hussein, è arrivata a Roma da Beirut. La bambina è seriamente malata, ha già perso un occhio ma sorride felice. Falak è arrivata in Italia grazie ai corridoi umanitari proposti e realizzati dalla Federazione delle chiese evangeliche, dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Tavola valdese che, con il suo otto per mille, ha finanziato gran parte dell’intero progetto. E così, mentre l’Europa discute di come fare fronte alle ondate migratorie senza peraltro arrivare a conclusioni apprezzabili, e in vari paesi dell’Unione si dichiara l’intenzione di respingere decine di migliaia di profughi, in Italia si realizza un esperimento di accoglienza umanitaria concreto e giuridicamente fondato.

Di che si tratta? In sintesi è una procedura legale che consente a persone in condizione di vulnerabilità di chiedere un visto per ragioni umanitarie presso una sede consolare dell’Unione europea. È una norma prevista dal regolamento di Schengen, ma che non è mai stata utilizzata. La procedura adottata, in altre parole, fa leva su una legge esistente. E questo è un primo aspetto da sottolineare.

Il secondo è che, arrivando con un visto rilasciato da un’autorità consolare, i profughi giungono in Italia essendo stati perfettamente identificati. L’aspetto della sicurezza e del contrasto a terroristi e criminali è quindi rigorosamente salvaguardato. In terzo luogo, i profughi vengono accompagnati in questa procedura da membri delle chiese evangeliche e della Comunità di Sant’Egidio che vivono e operano nei paesi in cui sono stati aperti i cosiddetti «corridoi umanitari»: il primo dal Libano ma, a seguire, dal Marocco e dall’Etiopia. Quarto. L’intero progetto è stato il frutto di un costruttivo dialogo: da una parte le comunità di fede e dall’altra due ministeri – dell’Interno e degli Affari esteri. Credenti cristiani e istituzioni dello Stato, ciascuno con il proprio ruolo, gli uni di fronte agli altri non per concedere favori e privilegi ma per lavorare per il bene comune. Un metodo originale in un paese che si divide su tutto e che predilige lo scontro ideologico all’incontro sui problemi concreti. Quinto. L’accoglienza di chi arriva attraverso i canali umanitari è a carico delle comunità che hanno proposto il progetto. E così chiese evangeliche e cattoliche aprono le loro porte, accompagnando i profughi nel loro percorso di integrazione.

«Il Signore rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero», leggiamo nel libro del Deuteronomio; «ero forestiero e mi avete ospitato…» gli fa eco l’evangelista Matteo nel Nuovo Testamento. Accoglienza e ospitalità non sono un accessorio della fede cristiana. Al contrario sono comportamenti al centro del messaggio biblico. E per questo, giovedì a Fiumicino, ad accogliere Falak, Hussein e i loro genitori c’erano uomini e donne che si confessano cristiani e che rendevano testimonianza della loro fede. I giornalisti, numerosi, hanno scattato molte foto: hanno ritratto una testimonianza di fede. Ma anche un’Italia capace di accogliere e di difendere i diritti umani.