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Raccontare le migrazioni di ieri per capire l’immigrazione di oggi

Si chiama Jean-Pierre Michelin Salomon ed è al centro di un’appassionante vicenda internazionale, come del resto lo sono molte storie di «pionieri». Nato nelle valli valdesi, evangelista in diverse zone d’Italia per poi partire per il sud America, dove è pastore a Colonia Valdense; lo ritroviamo a New York, seguito da altre famiglie valdesi, nel Missouri dove fonda una nuova colonia, infine in California, dove muore di tubercolosi nel 1885, a 49 anni.

Ne racconta la vicenda una mostra promossa dalla Waldensian Foundation di Monett (Missouri), il cui archivio è stato ufficialmente avviato in ottobre, con una ricerca sulle migrazioni che va ben al di là della storia valdese e si presenta come un progetto multi-culturale.

Il suo promotore è Mark McMeley, storico valdese e presidente dell’associazione, che ci ha raccontato com’è nata l’idea.

«L’idea di questa mostra è nata dalla volontà di capire meglio uno dei fondatori delle colonie valdesi in America del Nord e America del Sud. Le decisioni di queste persone hanno segnato per sempre le loro vite e quelle dei nostri antenati diretti. I loro valori, la loro spiritualità, le condizioni di vita, impegni di famiglia e problemi di salute, i sogni, in breve le questioni umane che ci condizionano tutti, si sono mescolati con una decisione cruciale per molti nell’800: rimaniamo o partiamo?

Noi della Waldensian Foundation ci siamo resi conto che le vite di queste persone riflettevano tanto la realtà dell’Uruguay e dell’Italia quanto quella del Missouri. Michelin Salomon ha lavorato negli anni ’60 dell’Ottocento in Italia prima di passare quattro anni nella nuova Colonia Valdense dell’Uruguay. È partito di nuovo con la sua famiglia e 50 altri valdesi per gli Stati Uniti nel 1875. Era naturale cercare la collaborazione con i colleghi in America del Sud e in Italia. Ognuno ha portato dati importanti e nuove prospettive critiche-storiche per aiutarci a capire meglio la storia che condividiamo».

Che cosa è la Waldensian Foundation?

«La Waldensian Foundation di Monett è un organismo semipubblico fondato nel marzo 2015 per realizzare progetti di conservazione e ricerca storica nella nostra zona. Ci concentriamo sulla storia degli immigrati arrivati nela nostra comunità. Utilizziamo il nome “Waldensian” per la singolarità della storia valdese, come rappresentativa di tutti i migranti, ma guardiamo con lo stesso interesse l’esperienza di altri che sono arrivati nell’800 (polacchi, tedeschi, svedesi, irlandesi), e negli ultimi decenni (messicani, hmong, vietnamiti, filippini, somali,…). Il nostro progetto è multi-culturale. Per mezzo della corrispondenza, di altri documenti e fotografie vediamo sfide, frustrazioni, successi, paure, sogni, la spiritualità di 140 anni fa, molto simili a quelli degli immigrati di oggi.

Abbiamo fondato un archivio storico nell’Archivio della Biblioteca dell’Università Statale del Missouri, per preservare questo crescente fondo documentale e renderlo disponibile. Inoltre continuiamo a progettare mostre pubbliche in diversi luoghi, approfittando della documentazione per dare un nuovo sguardo storico-critico al periodo e ai luoghi che ci interessano».

Ma chi era Jean-Pierre Michelin Salomon e perché è importante parlarne?

«Jean-Pierre Michelin Salomon e la moglie Rachel Odin sono stati i primi operai della Chiesa valdese a sviluppare un lavoro di evangelizzazione in tre continenti. Erano precursori della nuova apertura della chiesa nell’800, non solo in Italia ma anche in luoghi lontani geograficamente e culturalmente. Il Risveglio, che metteva enfasi nel cuore e i nuovi studi storici-critici che favorivano uno sforzo intellettuale, attraversavano gli studi e le esperienze professionali di pastori valdesi come Michelin Salomon. Innovazioni della prima rivoluzione industriale facilitavano i trasporti e le comunicazioni, ma non avevano eliminato i rischi dell’emigrazione. Per questo il titolo della mostra si è scritto da sé: Pastori di Frontiera».
 
Dov’è già stata esposta? Possiamo ipotizzarne l’arrivo anche in Italia?

In marzo ne abbiamo inaugurato una versione a Monett, che considerava anche il pastore Carlo Buffa, originario di Luserna San Giovanni, secondo pastore dopo Michelin Salomon. La versione in spagnolo, inaugurata al Museo Valdese di Colonia Valdense a dicembre, si concentrava solo su Michelin Salomon e la moglie, Rachel Odin, tutt’e due di Villar Pellice.

Ma Michelin Salomon era stato evangelista a Pisa, Modena, Aosta e Como prima di partire per l’America. Quindi speriamo di creare presto la versione italiana insieme ai colleghi, forse in una di queste città. In un certo senso chiuderemmo il circolo delle loro vite tri-continentali».

La mostra dunque non vuole soltanto raccontare la storia di un personaggio, ma quella dei legami tra valli valdesi, Rio de la Plata e Stati Uniti, e contribuire a rafforzarli?

«Michelin Salomon è un personaggio per lo più dimenticato nella storia dei nostri paesi. Attraverso la sua corrispondenza, i rapporti e altre fonti disponibili nell’Archivio storico della Tavola valdese a Torre Pellice, negli archivi dell’Uruguay e del Missouri, riscopriamo una storia strettamente legata alla realtà dei paesi dove ha operato. Il progetto di queste mostre vuole senz’altro dimostrare come questi personaggi nel passato possono ancora parlare a noi che sentiamo la responsabilità di vivere una fede con una forte tradizione storica. Creare nuovi legami con colleghi professionali ma anche con fratelli nella fede è uno dei nostri principali obiettivi ». 

Quali sono i vostri progetti futuri?

«Vogliamo approfondire lo studio delle diverse immigrazioni a Monett, preservando i documenti che dimostrano le loro molte dimensioni nella nostra piccola comunità. La prossima mostra sarà su una donna valdese, Marguerite Mondon Marin Pontet Courdin, contemporanea di Michelin Salomon, nata a Bobbio Pellice e emigrata in Uruguay, che faceva parte del gruppo che è arrivato nel Missouri in 1875 con il marito e numerosi figli. Speriamo di inaugurare la mostra nel Missouri e nell’Uruguay alla fine del 2016, e poi in Italia, se troviamo un posto adatto in val Pellice.

Una mostra ancora più ambiziosa è sui diversi mezzi per mantenere i legami fra famiglie e amici nei tre continenti, con corrispondenza e viaggi. Il mio tris-nonno Jacques Bertalot ha lasciato, per esempio, brevi scritti sui suoi viaggi di ritorno da Monett per vedere parenti a Pramollo, verso il 1900. È affascinante pensare ai suoi viaggi oggi, in un mondo in cui attraverso WhatsApp posso comunicare, seduto nella metro a Buenos Aires, con i miei parenti a San Germano e amici in val Pellice. Al di là dei mezzi, abbiamo una necessità umana di mantenere i contatti con la gente che forma parte della nostra identità».

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