rimozione_delle_cabine_versante_italiane_del_valico_di_frontiera_internazionale_di_santandrea_nel_comune_di_gorizia

Che ne sarà di Schengen

Si è aperto stamattina ad Amsterdam un difficile vertice tra i ministri dell’interno Ue. A fronte del persistere dell’emergenza migratoria, a essere sul tavolo è il futuro del cosiddetto “spazio Schengen”.

L’area di libera circolazione europea – una delle libertà fondamentali sancite dai Trattati fondativi CEE – fu istituita nel 1985 con un trattato ad hoc firmato da Francia, Germania e Benelux. Ne sono oggi cofirmatari 26 stati: 22 membri dell’Ue (per Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania il trattato non è ancora entrato in vigore; Irlanda e Regno Unito non vi hanno aderito) e 4 non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera).

La storia degli Accordi di Schengen – incorporati nel diritto comunitario solamente nel 1997 e al contempo più ampi e più stretti dell’Unione politica parallelamente integratasi – spiega come mai la discussione “europea” sulla gestione dei flussi migratori si riduca spesso a un battibecco tra governi. Perché se furono gli Stati ad abolire le proprie frontiere, sempre gli Stati possono decidere di ripristinarle: è il trattato a prevederlo, in caso di “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna”.

A partire da questa eventualità, ad Amsterdam stanno prendendo corpo due fronti: mentre Italia e Germania propongono che ogni decisione in materia di sospensione sia vincolata al consenso degli altri stati Schengen, l’asse nordeuropeo, in polemica con la “gestione mediterranea” delle frontiere esterne, minaccia il ricorso a misure unilaterali.

Come si evince da questa mappa da qualche mese Danimarca, Austria (e oggi anche Germania e Svezia) hanno ripristinato parziali controlli alle frontiere; stando alle schermaglie diplomatiche degli ultimi giorni, se non adeguatamente confortati circa la definizione di un’efficiente strategia comune, i paesi scandinavi potrebbero cercare la sponda di Polonia e Ungheria per richiedere una sospensione biennale dello spazio Schengen (una misura straordinaria, tuttavia prevista dall’art. 26).

Sotto i riflettori, come sempre, la Grecia, per la quale si è addirittura agitato lo spauracchio di una temporanea esclusione dallo spazio libero – un’eventualità prontamente smentita sia dal presidente della Commissione Junker che dal ministro degli esteri tedesco. Così, mentre il nord rimprovera al sud di non “fare i compiti a casa” per quanto riguarda l’identificazione e la registrazione alle frontiere esterne – come a settembre, si è tornati a parlare di “hotspot” – Italia e Grecia insieme insistono sulla necessità di una maggior ridistribuzione dei richiedenti asilo. 

Tra una schermaglia e l’altra, speriamo non si smarrisca il senso politico di una delle più grandi conquiste dell’Europa postbellica. In fondo, sul vecchio continente come altrove, muri e confini non hanno mai funzionato.

Foto: Di TixgoOpera propria, Pubblico dominio, $3