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Benigni, la giustizia di Dio e la misericordia

Come altre volte, per la Divina Commedia, per la Costituzione, per i 10 comandamenti (con la consulenza del teologo valdese Paolo Ricca), Roberto Benigni è tornato a raccontarci chi sono gli italiani. Dopo averci illustrato il testo fondativo della nostra letteratura; dopo averci riportato all’attualità della nostra Carta fondamentale; dopo avere chiarito all’Italia cristiana (poco attenta) che le Tavole della Legge esprimono Grazia e amore di Dio, l’intervento svolto in Vaticano e teletrasmesso da Sat2000 ha proposto l’attore/autore come interprete del papa.

Unita alla comunicativa che è tipica di papa Francesco, la capacità di divulgatore di Benigni si è focalizzata intorno al concetto di misericordia, nell’anno giubilare che le è intitolato. Benigni non poteva che esaltare lo stile di Bergoglio, che è efficace di per sé, in un momento in cui – così parrebbe – chi dovrebbe occuparsene giornalmente (cioè le Chiese, non solo quella del papa) stenta a farlo. Pare a tratti, Francesco, andare più veloce della propria Chiesa; pare a volte, a noi protestanti precisi e pignoli, che egli tratti argomenti scontati: ma essi sono tali per chi vive la fede con regolarità, e cioè una «minoranza», a fronte di una maggioranza sempre crescente di indifferenti.

Benigni ha citato perfino Bonhoeffer (ormai anch’egli inflazionato, almeno dal 1995, nella pubblicistica). Ha detto, seguendo il teologo luterano, che Gesù non ha mai messo in discussione la pienezza della vita, con le sue gioie. Non contestò i Magi né le nozze di Cana né la Maddalena e i suoi profumi: non si riparò dietro un’austerità moralizzatrice, ma seppe dire la gioia del vivere. Di contro stanno il dolore, il Male, citati da Benigni con un’accentuazione su cui i protestanti avrebbero assai da ridire, non apprezzando il valore salvifico della sofferenza. Ma ha citato soprattutto l’ingiustizia, e qui il discorso (che è nel libro di Francesco redatto con Andrea Tornielli) ha toccato il peccato; il richiamo alla necessità di colpire i peccato ma non il peccatore è sì un «classico» della Chiesa che perdona; ma è anche un richiamo alla giustizia di dio. L’ingiustizia (il papa fa riferimento esplicito alla corruzione) va condannata e prima ancora va chiamata per nome.

Qui si è affacciata l’idea della misericordia divina. La giustizia divina, abbiamo sentito da Benigni, non è la giustizia umana. Certamente. Infatti – ma questo Benigni non l’ha detto ma in questo 2016 dovremmo ricordarcene, almeno noi – l’avvicinamento tra la giustizia di Dio e la misericordia è un tema luterano per eccellenza: è «l’idea, che in alcuni passi cruciali della Scrittura la giustizia di Dio significa semplicemente, ma paradossalmente, la sua misericordia» (G. Miegge, Lutero I, Claudiana, 1946).

Al di là delle manifestazioni esteriori dell’anno giubilare, il tema della giustizia è tutt’altro che banale e le sue fonti scritturali, analizzate proprio da Lutero (nel Vangelo «la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede» – Rom. 1, 17), dovrebbero costituire la base del modo protestante di discutere e analizzare fraternamente il tema della misericordia. Tanto più che l’anno successivo a quello giubilare sarà quello del Cinquecentenario della Riforma. In vista di quella scadenza sarebbe opportuno proprio considerare questo rapporto, questa distanza: la distanza tra giustizia di Dio (di cui abbiamo bisogno: e se non la troviamo dovremmo imputare la sua poca visibilità alla nostra predicazione prima che a Dio) e giustizia umana (di cui anche abbiamo bisogno, e se quest’ultima è labile e stentorea dobbiamo accusare solo noi stessi).

Certo esisteranno modalità diverse, fra cattolicesimo e protestantesimo, nel mettere in dialettica i due aspetti della giustizia: il nostro pessimismo antropologico ci farà dire che la distanza fra loro è incolmabile, almeno finché non saremo nel Regno di Dio; non così per il cattolicesimo. Ma questo distanza corrisponde a una sfida ecumenica che vede più facile l’accordo fra le diverse confessioni cristiane su Dio, sulla Trinità, sulla resurrezione; e più arduo da affrontare il discorso sulla natura e sull’essere umano, di cui abbiamo visioni molto diverse. La distanza tra Lutero e Francesco c’è e si fa chiara non riguardo alla misericordia di Dio, bensì riguardo all’umanità, agli uomini e alle donne a cui si rivolge; insomma, Dio ci viene perché siamo simili a lui oppure perché siamo infinitamente distanti da lui, e proprio per questo meritevoli del suo amore? Che cosa, in fondo, siamo noi?

Foto “Roberto Benigni in TuttoDante a Padova” by SilviapittOwn work. Licensed under CC BY-SA 3.0 via Wikimedia Commons.