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Autunno mite e inverno poco nevoso

È arrivata. Poca per il momento, seguita da un’ondata di calore che ha portato pioggia fin oltre i 2000 metri. Stiamo parlando della neve, protagonista del dossier del mese di gennaio dell’«Eco free press». Ma questo inverno atipico come è stato vissuto da chi in montagna ci lavora? Le stazioni sciistiche hanno perso una buona fetta dei loro incassi. Rucas, a Bagnolo Piemonte, ha aperto un solo impianto, breve, con discesa su neve artificiale, in mezzo a erba rinsecchita. In alta val Germanasca, a Prali, la situazione è simile. È aperto solo l’impianto più breve, il «baby» mentre le seggiovie non sono in funzione per lo sci.

Abbiamo anche analizzato la situazione parlando con Massimo Manavella e Roberto Boulard, gestori di due rifugi alpini, il «Selleries», in val Chisone e il «Jervis» in val Pellice che grazie proprio all’inverno e alla neve rimangono aperti e lavorano anche d’inverno.

Senza neve è stato più facile raggiungere i rifugi? Avete notato un aumento delle persone che passano da voi? «Poca neve non vuol dire tanta gente in rifugio – ci spiega Manavella – tanta gente in rifugio la si ha se c’è bel tempo, con o senza neve. Se l’autunno, come tutte le altre stagioni, è brutto, automaticamente abbiamo poca gente che sale in montagna. Noi abbiamo l’apertura al transito delle auto nel periodo estivo. Anche in quei mesi se non c’è bel tempo la gente non arriva, pur con la possibilità di salire in automobile. Questo autunno bellissimo ha fatto sì che la gente continuasse ad andare in montagna. Quindi come gestori di rifugio siamo soddisfatti dei mesi di ottobre e novembre, per questo motivo. Il mese di dicembre, che dovrebbe essere più prettamente invernale, ha visto un protrarsi del clima e delle condizioni autunnali e, soprattutto nelle vacanze natalizie, molta gente ha manifestato disappunto per l’assenza di neve e l’impossibilità di fare ciaspolate o gite di scialpinismo. Quindi non possiamo dire che per noi gestori di rifugio sia meglio un inverno poco nevoso, l’inverno ottimale per un gestore di rifugio è quello con il maggior numero di belle giornate». Simile la posizione di Boulard. «Abbiamo lavorato molto con chi sale per un pranzo in rifugio: c’è stato sicuramente un aumento nei numeri. Molte persone hanno preferito la montagna rispetto ai centri commerciali come invece succedeva gli anni scorsi. Poco lavoro nel giorno di Natale mentre a capodanno avessimo un rifugio “gonfiabile” da montare e smontare riempiremmo anche quello, visto l’altissimo numero di persone che non abbiamo potuto accogliere. L’assenza di neve ci ha portato un grave danno sulle settimane dedicate all’arrampicata su ghiaccio o allo sci-alpinismo. Lavoriamo con un’agenzia francese che ha disdetto alcune settimane per l’assenze di neve e freddo…».

In definitiva si è lavorato di più? «Come dicevamo prima, si è lavorato molto e meglio perché abbiamo avuto bel tempo. Ma se a parità di numero di belle giornate avessimo avuto al suolo un metro di neve, avremmo lavorato addirittura di più. Secondo me bisognerebbe accettare con più flessibilità le condizioni meteo. Da sempre abbiamo inverni nevosi che si susseguono ad inverni secchi ed aridi: si alternano senza una soluzione di continuità. Bisognerebbe ritornare ad adeguarsi di più al meteo ed a organizzarsi, per le attività in montagna, in base a alle condizioni che si hanno a disposizione. Come operatori turistici non possiamo che essere solidali con i nostri colleghi che lavorano e gestiscono le stazioni di sci alpino, ed essere dispiaciuti per il danno economico che un inverno senza neve causa a questi settori. Ma in un’epoca come questa non possiamo più pensare caricare sulle spalle della comunità e dell’ente pubblico la perdita finanziaria conseguente. Le stazioni di sci sono costose da gestire, solo per essere pronti e preparati per l’arrivo della neve ci sono investimenti indispensabili enormi, quindi forse bisognerebbe fare alcuni passi indietro: l’innevamento artificiale lo si lascia perdere, si andrà a sciare se nevicherà, altrimenti si farà altro. Le stazioni sciistiche piccoline e traballanti bisognerebbe avere il coraggio di chiuderle per sempre, investendo dei capitali per il loro smantellamento ed il recupero del territorio. Si devono individuare le grandi stazioni da sostenere e sulle quali puntare per la creazione di poli sciistici importanti e di qualità lungo tutto l’Arco Alpino Piemontese. Naturalmente si tratta di scelte dolorose ed impopolari, difficili per qualsiasi politico e qualsiasi funzionario, ma probabilmente le uniche praticabili. Visto dalla finestra di un rifugio, il nostro futuro è legato alla nostra capacità di adattamento a ciò che ci verrà incontro. Le nostre strutture hanno la possibilità di adeguarsi e di essere operative e presenti con qualsiasi condizione meteo. Le stazioni di sci possono essere molto meno flessibili: perciò si deve avere il coraggio di affrontare questo discorso e trovare una soluzione matura e responsabile. Il turismo in montagna per troppi anni è stato visto esclusivamente attraverso gli impianti di risalita e la costruzione di grandi agglomerati di appartamenti in alta quota: forse oggi siamo giunti ad un punto tale che, volenti o nolenti, dobbiamo imporre una drastica inversione di marcia. Ripensando tutto in un’ottica più compatibile e flessibile», commenta Manavella. «Più presenze non significa maggiori incassi. Per un rifugio e per una guida alpina è importante avere persone che si fermano a pernottare e per più giorni. Solo così si sostengono le spese vive. Dobbiamo imparare a “utilizzare” la montagna per quello che è e quello che ci dà. Alcuni cambiamenti iniziamo a vederli. A Bardonecchia è stata innevata una pista e poi il relativo impianto non è stato aperto ma è stata riservata agli sciatori alpinisti che così hanno avuto uno spazio dedicato», fa eco Boulard.

I due rifugi rimarranno aperti durante tutto l’anno anche se le condizioni diventeranno quelle di un vero inverno. L’ultima riflessione la lasciamo ancora a Manavella.

«Sono sempre di più i rifugi aperti tutto l’anno. Rispetto ad altri tipi di proposte turistiche, le nostre sono leggere e poco invasive, quindi possono organizzarsi ed adattarsi agilmente e rapidamente. Sarebbe dunque ora che chi ha in mano le leve programmatiche dell’economia turistica cominciasse ad osservarci con un altro occhio ed un’altra considerazione».