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Massimo della pena per sei gay in Tunisia

Sei studenti sono stati condannati per omosessualità a tre anni di prigione e, come se non bastasse, una volta scarcerati saranno banditi dalla città di Kairouan per cinque anni. E’ successo in Tunisia lo scorso 10 dicembre: i tre giudici hanno applicato la pena massima prevista per la sodomia, applicando l’articolo 230 del codice penale, a cui si è aggiunta anche l’interdizione a rientrare in città per cinque anni, secondo l’articolo 5 dello stesso codice. Quest’ultimo non era mai stato applicato in casi simili, come ha ricordato persino il deputato dell’Arp, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo, Mohammed Abbou: «un provvedimento del genere a proposito di questioni che riguardano la morale non era mai stato preso», ha commentato.

Un brutto risveglio per un paese che cerca a fatica di mantenere la barra verso la democrazia, fra opposizioni interne e la minaccia dell’Isis, che dall’inizio dell’anno ha già compiuto due attentati, al museo del Bardo e sulla spiaggia di Sousse.

La legge risale al 1913 ed è stata applicata molto raramente; riguardava finora più che altro casi legati alla prostituzione negli anni ’60 e ’70. Uno dei condannati dovrà anche fare sei mesi di prigione in più a causa del materiale pornografico trovato sul suo computer. Un caso clamoroso per la severità della pena, ma non certo l’unico: nel 2015 una cinquantina di persone sono già state condannate per omosessualità nel Paese.

«Siamo molto preoccupati non solo per la condanna, ma per le condizioni della detenzione: spesso gli omosessuali in carcere subiscono violenze da parte di compagni di cella omofobi senza ricevere protezione dai secondini», commenta Pier Cesare Notaro, coordinatore del sito internet “Il grande Colibrì”, che racchiude alcune sigle che si battono per la tutela dei diritti delle persone gay, lesbiche e transessuali, fra cui il Moi, Musulmani Omosessuali in Italia. «Inoltre, anche l’assistenza legale è evidentemente carente – aggiunge Notaro – l’avvocatessa che segue uno dei ragazzi ha sostenuto che l’omosessualità è un peccato e che è giusto punirla».

La sentenza rilancia il dibattito sulla criminalizzazione dell’omosessualità in Tunisia,  dopo che lo scorso marzo per la prima volta il Gay Pride aveva sfilato per le strade della capitale e l’associazione per i diritti delle persone omosessuali e transessuali Shams aveva ottenuto l’autorizzazione ufficiale del governo a fare attività politica e sociale.

Un passo indietro rispetto ai segnali della scorsa primavera, dunque? «In Tunisia è in atto un braccio di ferro tra posizioni tra loro diverse – spiega Notaro – da una parte alcune forze vorrebbero mantenere le vecchie leggi moralistiche, e questo spiega quello che probabilmente l’aumento dei casi di incarcerazione,dall’altra il dibattito sulla depenalizzazione del l’omosessualità è sempre più aperto e sta ottenendo sostegno inaspettati».

Proprio Shams, lo stesso 10 dicembre, per la Giornata internazionale dei diritti umani avrebbe voluto organizzare una manifestazione per i diritti dei gay ma le autorità non hanno dato il permesso. Motivazione? La lotta al terrorismo ha la precedenza. In risposta, l’associazione ha deciso di lanciare una campagna virtuale di sensibilizzazione sul tema contro quella che da molte parti viene già definita come una nuova “caccia all’omosessuale”. Già molti intellettuali tunisini hanno aderito alla richiesta di cancellare l’articolo 230 dal codice penare e lo slogan «On existe, on est criminalisé» (esistiamo e siamo criminalizzati) sta facendo il giro del web.

«Gli attivisti Lgbt tunisini restano molto attivi e sorprendentemente ottimisti – conclude Notaro – certo, sono in allerta, ma credono ancora che il processo democratico del loro paese porterà a dichiarare incostituzionali le leggi contro i rapporti tra persone dello stesso sesso. Ripetono anche che il sostegno che ricevono, nonostante sua ancora evidentemente insufficiente, è sempre più ampio e sempre più visibile. In questa situazione, anche il sostegno delle opinioni pubbliche estere risulta importante. Per questo noi cerchiamo di dar voce a questi coraggiosi attivisti e amici».