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La Cina convoca un summit sulle religioni

La diffusione sempre più ampia delle religioni in Cina, a fronte di un passato non certo lontano in cui anche solo professarsi credente era impensabile, pone il mondo politico, che nel grande stato asiatico vuol dire partito comunista e null’altro, di fronte a nuovi scenari. Davanti ai quali spesso ha reagito con stizza, come se il fenomeno, figlio in primis di un’inevitabile apertura al mondo dopo decenni di isolamento, andasse arginato sul nascere in nome dei valori supremi della nazione.

Continuano ancora oggi in varie regioni dell’immenso paese le demolizioni di chiese e croci cristiane, adducendo solitamente pretesti legati alla non sicurezza o conformità degli edifici, tentando per l’ennesima volta di frenare con la burocrazia l’indole e il libero arbitrio. Se da un lato non si placano simili azioni, che portano milioni di persone a non professare apertamente la propria fede nel timore di ritorsioni, dall’altro lato le autorità non possono negare che il processo sia in atto.

Da qui la decisione di tentare di governarlo un’altra volta. E’ di questi giorni la notizia della convocazione, da parte dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi (l’ex bureau per gli affari religiosi), di un summit politico sulle religioni, come è stato definito da Chen Zhongrong , vice direttore del servizio.

Si tratta del primo appuntamento del genere da dieci anni a questa parte, e nel mentre il panorama religioso in Cina ha subito grandi mutamenti.

La volontà emerge chiaramente dalle dichiarazioni d’intenti, che ruotano attorno al concetto non certo nuovo di “sinizzazione” delle religioni, secondo i dettami a varie riprese pronunciati dal presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping. Ovvero creare le condizioni perché esse possano operare abbracciando una visione che continui a vedere i valori del partito e dello stato come centrali. Per cui uno degli obiettivi della riunione, che dovrebbe tenersi entro la fine dell’anno, sarà quello di formare adeguatamente i responsabili religiosi locali sul come far convivere fede e socialismo, nel tentativo primario di isolare le varie confessioni dai contatti con l’estero.

Si reitera quindi la bramosia di controllo sulla popolazione di credenti cristiani, che le stime ufficiali di Pechino valutano in circa 25 milioni di persone, mentre in realtà, secondo molte testimonianze e secondo i calcoli di varie diocesi e chiese protestanti, sarebbero almeno quattro volte tanto, con una netta prevalenza dell’evangelismo di matrice protestante. Continuando a questi ritmi entro pochi anni la Cina potrebbe diventare la nazione con più cristiani al mondo, anzi lo diventerà, rendendo ancora più anacronistico il violento atteggiamento di chiusura delle autorità. E rendendo sempre più assordante il silenzio di tutta la comunità internazionale che quando si tratta di redarguire il colosso asiatico, mostra sempre un atteggiamento pavido, terrorizzata dalle dipendenze economiche nei suoi confronti, e quindi da eventuali ritorsioni del caso.

Foto “Kina06(496)Fugong“. Licensed under CC BY 2.5 via Wikipedia.