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Vocazione unitaria

Dal 4 all’8 dicembre si svolge a Pomezia (Roma) la XVII Assemblea della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei). Costituita nel 1967, la Fcei riunisce le principali chiese del protestantesimo «storico» italiano. Sulle tematiche dell’Assemblea – a cui parteciperanno circa 150 tra delegati delle chiese membro e ospiti – abbiamo intervistato il pastore metodista Massimo Aquilante,  che con questa Assemblea conclude il suo mandato di presidente della Fcei.

Presidente Aquilante, quali sono gli obiettivi di questa XVII Assemblea?

«L’Assemblea triennale ha il compito di discutere e fare un bilancio, con le chiese federate, delle attività che la Federazione ha portato avanti nel triennio precedente appena concluso. Quest’anno l’appuntamento è particolarmente importante perché verrà messa in discussione e in votazione la proposta di un nuovo Statuto con un testo che, passata l’approvazione, disegnerà il nuovo assetto giuridico». (sullo Statuto vedi anche l’articolo a pag. 14, ndr).

Tra i cavalli di battaglia della Fcei, anche in questi ultimi tre anni, c’è stata la libertà religiosa.

«Sì, in questi anni è proseguito l’impegno della Fcei sul tema della libertà religiosa. Grazie a convegni e incontri abbiamo voluto chiedere con forza di poter superare, dal punto di vista legislativo, le vetuste leggi del 1929/30 sui “culti ammessi”, per poter giungere quanto prima all’approvazione di una legge per la libertà religiosa e di coscienza. Un lavoro che stiamo portando avanti con un gruppo di giuristi coordinati da Roberto Zaccaria. L’approvazione di una legge quadro per la libertà religiosa sarebbe un passo in avanti e un traguardo di qualità per la nostra democrazia».

Quali sono state le novità che in questo triennio la Fcei ha messo in campo?

«La prima riguarda senz’altro l’impegno sul tema dei rifugiati e richiedenti asilo. La Federazione è tradizionalmente impegnata in questo ambito ma dopo la tragedia del 3 ottobre 2013, in cui 368 persone persero la vita al largo di Lampedusa, fu chiaro che era necessario dotarsi di nuovi strumenti di lavoro perché la natura stessa dei flussi migratori si stava fortemente modificando: le persone coinvolte in questo tragico esodo fuggono oggi da situazioni di guerra e persecuzioni».

E dunque?

«Nasce il progetto al quale abbiamo voluto dare, significativamente, il nome di Mediterranean Hope: speranza mediterranea. Un progetto che ha una valenza narrativa e organizzativa, nella prospettiva della testimonianza evangelica che le nostre chiese esprimono. Il progetto Mediterranean Hope nasce nel maggio del 2014 con un osservatorio sulle migrazioni mediterranee a Lampedusa. Successivamente a Scicli (Rg) viene aperta una “Casa delle culture”, un luogo di accoglienza per soggetti migranti particolarmente vulnerabili, ma anche di scambio con e per la cittadinanza. Le persone ospitate, dopo una breve permanenza nella nostra struttura, vengono traferite in centri preposti dallo Stato italiano: noi operiamo la scelta e le destinazioni in base alle esigenze delle persone e delle loro singole sensibilità e necessità. Altro piano di lavoro è quello del Relocation desk che da Roma ha il compito di agevolare l’inserimento delle persone che giungono nel nostro paese».

Altra novità di questo triennio è stato l’avvio di un progetto per l’attivazione di corridoi umanitari.

«Ci siamo accorti, con il passare del tempo, che mancava un tassello importante: perché l’Europa invece di aprire le proprie porte sta decidendo di chiuderle. Per “by-passare” il famigerato regolamento di Dublino che impone alle persone che giungono in un determinato paese di doverci rimanere, abbiamo pensato alla possibilità di attivare dei corridoi umanitari. Dopo aver stabilito i contatti con le istituzioni, i Ministeri dell’Interno e degli Esteri, si è deciso di procedere in Marocco con un’azione stabilita con l’Ambasciata italiana, per distribuire visti per motivi umanitari. Un primo passo per sottrarre le persone in difficoltà al meccanismo perverso, drammatico e spesso mortale attuato da scafisti e trafficanti di uomini. Si tratta per ora di un’operazione modesta, certamente una buona pratica, che condividiamo con la Comunità di Sant’Egidio. Se altri governi europei decidessero di adottarla, questi numeri modesti sarebbero destinati ad aumentare. Allo stesso modo abbiamo deciso di muoverci anche in Libano. Mediterranean Hope ha avuto un formidabile consenso tra le chiese protestanti europee, al di là di qualsiasi nostra immaginazione: una carta d’identità formidabile per la nostra testimonianza evangelica anche nella società italiana».

A proposito di testimonianza evangelica, quali passi sono stati fatti?

«Un accordo importante tra la Fcei e l’Associazione laica Biblia per l’insegnamento storico della Bibbia nelle scuole. Un sogno, direi risorgimentale, che le chiese protestanti italiane hanno sempre avuto, quello di poter inserire un serio approfondimento dello studio della Bibbia nel processo di formazione delle coscienze delle nuove generazioni. Un percorso fatto insieme tra Ministero dell’Istruzione (Miur), Associazione Biblia e il nostro Servizio istruzione ed educazione (Sie)».

Il dialogo ecumenico per la Fcei è sempre stato imprescindibile.

«Non c’è alcun dubbio che i ragionamenti teologici e sprituali di papa Francesco abbiano dato nuova luce al cammino ecumenico. La Conferenza episcopale italiana (Cei) ha dimostrato più attenzione alle nostre proposte e iniziative. Un esempio recente è arrivato proprio dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, con aperture significative in tema di libertà religiosa al nostro ultimo convegno al Senato. Altra formidabile esperienza è stata quella della firma ecumenica dell’Appello contro la violenza sulle donne: un appello nato in seno alla Commissione studi della Fcei e condiviso con l’ufficio per le relazioni ecumeniche della Cei e sottoscritto da dieci chiese cristiane».

La Commissione studi della Fcei è stata protagonista di molte iniziative.

«La Commissione fornisce strumenti di lavoro, spunti e analisi per le nostre chiese. L’imminente assemblea prevede una proposta di ampliamento di questo prezioso strumento di lavoro: l’idea è quella di includere all’interno della Commissione studi anche il programma Essere chiesa insieme (Eci) – dedicato all’integrazione, all’accoglienza e alla valorizzazione delle sorelle e fratelli che giungono da altri paesi – e la Commissione dialogo interreligioso, per dare vita a una Commissione con maggiori possibilità di intervento».

Pastore Aquilante, lei è giunto al termine del suo secondo e ultimo mandato. Può fare un bilancio di questi sei anni, e di che cosa vede nel futuro della Fcei?

«Sono grato innanzitutto a Dio e alle persone che lavorano in Federazione nei vari settori e servizi che la compongono. Sono grato a Dio perché la Federazione è allo stesso tempo un luogo concreto e dall’altra uno stimolo continuo per la vocazione unitaria del protestantesimo italiano. La Federazione nata nel 1967, in un tempo storico decisamente diverso da quello di oggi, ha sempre mantenuto intatta questa sua capacità. Un’esperienza che mi ha profondamente segnato nel mio percorso pastorale e di credente. Le iniziative promosse in questi anni non potranno che maturare, crescere e avere maggiore efficacia e visibilità. Questo è il mio augurio per la Fcei e per chi ne prenderà le redini».

Foto: Pietro Romeo