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L’urgenza di nuovi stili di vita

L’ultima tappa della «Carovana per la dignità e la sostenibilità del lavoro», progetto lanciato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei), si è svolta a Firenze il 27 novembre. Nella splendida cornice rinascimentale della città, le chiese battista e valdese sono state promotrici di una tavola rotonda i cui contenuti si sono rivelati pienamente in sintonia con il significato ultimo di questo progetto, quello di  condurre la discussione da dentro a fuori le chiese su un tema che tocca la vita di tutti, singoli, famiglie e comunità.

I temi ben sviscerati dai relatori hanno messo a confronto concetti teologici ed esperienze di diverse comunità religiose, con visioni economiche, politiche e sociali.

La teologia dell’etica del lavoro vocazionale di Calvino, introdotta dalla docente della Syracuse University, Deborah Spini, ha posto l’attenzione sul lavoro come vocazione da vivere «mescolata con un po’ di gioia». Il lavoro, già passato nella Riforma da punizione a vocazione, in Calvino è proposto come strumento che dovrebbe permettere alla persona di «governarsi». Cosa accade oggi di questa proposta che coniuga vocazione e soggettività? Se una ventina di anni fa accadeva di ragionare sul lavoro non solo come possibilità di autogoverno ma ci si poneva il problema di come cambiare il contesto capitalista in cui il lavoro era inserito, la domanda è: cosa è rimasto di questo slancio in un contesto in cui progettualità e creatività appaiono più ideologia di copertura che strade veramente percorribili?

Don Alessandro Santoro, prete della comunità «le Piagge» di Firenze, quartiere in cui il tasso di disoccupazione va oltre il 35%, dove molte famiglie vivono ancora nelle baracche e il 58% dei disoccupati sono giovani sotto i 25 anni, ha usato l’espressione «rimettere in piedi l’uomo» attraverso un lavoro che non provochi danni sul sé più profondo delle persone ma crei occasioni di riscatto anche per chi sembra essere stato gettato via per sempre da ogni ambito produttivo. Il lavoro che alle Piagge viene creato faticosamente attraverso la cooperazione sociale, è anche accompagnato da una formazione che valorizzi il servizio per il bene comune. Dunque, educazione alla responsabilità, alla fiducia. Anche l’esperienza del microcredito, che è quasi sempre onorato, va in questa direzione

 Il pastore Luca Faedda della chiesa avventista ha invitato ad una riflessione sulla ricostruzione del «sé» perso a causa delle angosce e dell’alienazione a cui il lavoro stesso o la sua perdita può portare. Una bella testimonianza personale e la spinta anche dovuta a questa esperienza, di dare voce al «sé» altrui in un terreno difficile come il quartiere 5 di Firenze attraverso un progetto sostenuto dall’Adra, agenzia umanitaria della chiesa avventista.

Gabriele De Cecco, direttore della Casa di riposo per anziani «Il Gignoro», ha rappresentato la voce della Diaconia valdese fiorentina. La diaconia è un laboratorio in cui esercitarsi alla trasparenza e alla partecipazione, in cui recuperare la professionalità di ognuno e riconoscere e valorizzare la diversità come elemento di crescita.

Uno spaccato sul percorso economico di Firenze a partire dal 2007, anno prima dell’inizio ufficiale della crisi, lo ha fornito il sindacalista, ex segretario della Cgil di Firenze, Mauro Fuso, il quale attraverso numeri e grafici relativi a disoccupazione e utilizzo di ammortizzatori sociali ha fornito il quadro di riferimento della situazione, situazione in perdita, anche se oggi in lievissima e fragile ripresa. E la perdita ha anche riguardato quelle attività artigianali che per secoli hanno costituito il motore brillante di questa società. Nessuno è stato risparmiato: orafi, opifici, ricami, botteghe artistiche, concerie, pelletterie, tradizioni enogastronomiche. La crisi ha spesso imposto una riconversione di questi gioielli in attività massificate, industriali dove la compagine lavorativa è fortemente declassata, anonima, svilita, sfruttata. Oggi più che mai le politiche del lavoro hanno prodotto illegalità «legalizzata», come l’impiego massiccio dei voucher dimostra, e dove si nasconde oggi una parte del lavoro nero o grigio.  

La ricercatrice Sociolab, Barbara Imbergamo, ha focalizzato l’attenzione sui nuovi «working poor», quelli legati agli ordini, agli albi, o semplicemente lavoratori a partita Iva. Lavoratori che provengono dai settori della libera professione, quelli che tradizionalmente e oggi ancora in parte, sono benestanti. Una parte di questi lavoratori – un numero che può arrivare anche ai 4,5 milioni di persone – hanno impieghi precari e discontinui, fortemente tassati anche a prescindere dai guadagni incassati, fuori da ogni tutela e tartassati dagli ordini che dovrebbero assisterli. Il lavoro è caratterizzato dalla precarietà assoluta, da discontinuità, insolvenza o ritardo cronico del pagamento per il lavoro eseguito. La grave mancanza di tutela di questi lavoratori ha portato molti in uno stato di povertà anonima, che non rientra in accordi sindacali, né è sostenuta da alcuna organizzazione.

Davide Buttitta, sovrintendente del X Circuito delle chiese valdesi e metodiste e sindacalista egli stesso, invitando alla rilettura del Patto per l’etica del lavoro approvato dal Sinodo delle chiese valdesi e metodiste nel 2010, ha testimoniato di un’iniziativa che la Camera del lavoro di Firenze sta portando avanti per smascherare alcune truffe proprio a danno dei lavoratori stessi, impiegati in attività porta a porta senza alcuna tutela.

La serata, moderata dalla past. Anna Maffei, si è conclusa con la domanda posta da Deborah Spini ad inizio incontro: qual è il significato della nostra vocazione al lavoro oggi? La riflessione continuerà. A questo punto ci auguriamo un nuovo rinascimento che parta, come è avvenuto a Firenze e nelle altre nove tappe della Carovana, dal confronto semplice e partecipato, un confronto che trasudi tutta l’impellenza di un nuovo stile di vita.