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Europa e Turchia, gli accordi con i piedi d’argilla

Nella giornata di ieri a Bruxelles l’Unione europea ha siglato con la Turchia un primo accordo formale per adottare misure volte a ridurre il flusso di profughi che, partendo dalla Siria, attraversando la Turchia e risalendo i Balcani, arrivano in Europa in fuga principalmente dalla guerra in Siria.

L’intesa, che prevede una prima tranche di 3 miliardi di euro destinati all’accoglienza dei profughi in Turchia, va a concludere un percorso avviato mesi fa e che ha visto, anche ieri, nuove spaccature nel gruppo dei 28 paesi membri dell’Unione europea. Proprio a causa dei profondi disaccordi che dall’inizio dell’anno dividono l’Europa dell’est da quella occidentale, il patto siglato ieri dà un’idea di precarietà e fragilità che le dichiarazioni dei vari protagonisti non riescono a cancellare.

Il vero elemento di novità dello scorso fine settimana arriva da un secondo vertice, molto più ristretto e portato avanti quasi di nascosto da Angela Merkel. Frustrata dalla resistenza dei paesi europei nei confronti delle sue politiche, la cancelliera tedesca ha convocato una riunione separata con altri sette capi di stato e di governo europei, raggiungendo in tempi molto più brevi un obiettivo ritenuto centrale come quello della creazione di una “corsia veloce” per la creazione di un sistema di condivisione e ripartizione di centinaia di migliaia di rifugiati che attualmente si trovano in Turchia.

Questo vertice ristretto sancisce quindi la rottura tra i paesi dell’Europa occidentale, guidati dalla Germania e appoggiati dal presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, e il cosiddetto “gruppo di Visengrad”, formato principalmente dai paesi dell’Europa orientale e sostenuto dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. Oggetto del contendere è sempre il tema dell’obbligatorietà della condivisione dei rifugiati che raggiungono l’Unione europea, un aspetto della discussione che segna in modo sempre più profondo la distanza tra questi due gruppi.

Anche le decisioni prese nella riunione ristretta non sono prive di contraddizioni: se da un lato Juncker ha dichiarato che «l’incontro mette insieme i paesi che stanno lavorando per accogliere legalmente un gran numero di rifugiati che ora si trovano in Turchia», dall’altro ha voluto specificare che anche questo accordo sarà volontario e non vincolante, anche perché nel frattempo il governo dei Paesi Bassi ha respinto la proposta tedesca, creando un primo smarcamento interno.

Le parole più dure, però, sono state spese da Donald Tusk. Il presidente del Consiglio europeo, che ha presieduto il vertice plenario con la Turchia, ha voluto immediatamente ribadire una posizione scettica. «Cerchiamo di non essere ingenui», ha dichiarato. «La Turchia non è l’unica chiave per risolvere la crisi migratoria: è più importante la nostra responsabilità e il nostro dovere di proteggere le nostre frontiere esterne. Non possiamo affidare questo obbligo a un paese terzo».

Il timore di Tusk e degli altri paesi dell’Europa orientale è che Ankara, consapevole della sua importanza nel fermare una nuova ondata di profughi, possa forzare ulteriormente la mano chiedendo una più grande legittimazione politica in seno all’Unione europea. Gli ultimi avvenimenti dentro e fuori i confini turchi stanno nuovamente raffreddando i rapporti con l’Europa, e Erdogan sembra consapevole del fatto di doversi giocare l’ingresso in Europa sul tema dei migranti, facendo quindi superare le diffidenze legate alla la repressione dei confronti dei curdi, alla mano pesante del regime contro i giornalisti di opposizione e la crisi con la Russia in seguito all’abbattimento del jet al confine con la Siria, un episodio che arriva nel peggior momento possibile, quello nel quale Putin e i leader occidentali stanno cercando di arrivare a una soluzione del conflitto siriano.

A favore di Ankara gioca però il tempo. Bruxelles infatti ha fretta di stabilire regole certe sulle migrazioni una volta per tutte. «È assolutamente chiaro – ha dichiarato infatti Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione europea – che l’Europa ha bisogno della collaborazione della Turchia».

Al di là dei disaccordi su quote di persone e ripartizione dei fondi, rimane una certezza: il processo di adesione della Turchia all’Unione europea si è rimesso in moto, anche se con un orizzonte piuttosto lontano. Sarà una vera adesione, con tutti i cambiamenti che si richiedono a un paese candidato membro, o l’Europa cederà alla paura e scambierà sicurezza ed economia chiudendo un occhio sui diritti?

Foto “Donald Tusk Sejm 05” by Adrian GrycukOwn work. Licensed under CC BY-SA 3.0 pl via Wikimedia Commons.