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Apre a Roma un rifugio per vittime di discriminazioni LGBT

Sta per aprire a Roma un centro di accoglienza e sostegno alle vittime di discriminazioni di genere, in particolare per giovani lesbiche, gay, bisessuali e transessuali costretti a lasciare le proprie case o a fuggire da violenze. L’esperienza si ispira ai Refuge francesi, già attivi da diversi anni in molte zone della Francia. Ne parliamo con Flavio Ronzi, presidente della Croce Rossa di Roma, che insieme al Gay Center e a Gay Help Line ha progettato questo centro.

Quali caratteristiche ha questo spazio? Come funzionerà?

«Il nome è assolutamente evocativo, rifugio, proprio perché la prima cosa per permettere a una persona di stare bene è garantirgli un posto sicuro. Il centro si rivolge principalmente a quei giovani che subiscono violenze o che sono costretti ad andare via da casa (il nostro rifugio per eccellenza) e cerca di ricostruire una normale vita famigliare. Un punto dove avere supporto psicologico e poter riprendere in mano la propria vita: continuare gli studi, trovare un lavoro e essere autonomi nel realizzare la propria vita e la propria felicità».

Quale entità ha questo problema?

«Sicuramente importante, soprattutto pensando che sarà l’unico rifugio in Italia in questo momento, mentre nell’esperienza francese sono oltre cento strutture in diverse città del Paese. Come sappiamo, guardando anche fenomeno della violenza sulle donne, se la vittima non sa di avere una possibilità di via d’uscita, è sempre più difficile denunciare o uscire allo scoperto. Il dato è proporzionale alla capacità di un paese di offrire risposte e protezione. Lo spazio nasce per rispondere alle richieste di persone che si rivolgevano alla Croce Rossa, anche grazie alla forte esperienza dei nostri collaboratori di Gay Help Line, che sono spesso il punto di arrivo delle richieste di aiuto. Siamo felici di poter contare sulle professionalità specifiche di chi tutti i giorni opera in contesti di discriminazione LGBT e allo stesso tempo offrono servizi come supporto legale, psicologico, ma anche degli accordi con delle aziende per poter proporre il reinserimento lavorativo di questi giovani».

Quando aprirà il refuge? Come si sosterrà?

«Il centro era già pronto per settembre, ci sono stati alcuni ritardi e ora stiamo tentando di chiudere le ultime questioni organizzative. Speriamo di poterlo inaugurare prima di Natale. È finanziato dalle persone che ci aiutano: stiamo cercando di creare un sistema di sostenibilità a lungo termine affinché il rifugio possa continuare nel tempo. In questi giorni ci è arrivata la notizia del finanziamento dell’Otto per mille valdese al Gay Center per questo progetto, di cui siamo grati. Il rifugio è basato sull’attività volontaristica della Croce Rossa e del Gay Center, ma si avvarrà di altri professionisti e di un coordinatore che 24 ore su 24 seguirà l’attività. Questo rifugio ha l’esigenza di essere in un luogo segreto e di essere temporaneo. Contiamo in sei mesi, al massimo un anno, di rendere i ragazzi autonomi e reinseribili in una vita normale e quotidiana».

L’esperienza riempie un vuoto in Italia?

«Sì, un vuoto assoluto di strutture ma anche normativo. Fino a 18 anni ci sono dei percorsi per l’assistenza ai minori, anche se non specifici su aspetti Lgbt, ma sono comunque delle forme di protezione. Dopo i 18 anni ci sono percorsi per la violenza di genere per le donne, ma c’è un buco per i ragazzi maggiorenni che subiscono violenza in casa. C’è un assenza anche perché non c’è legislazione dedicata. A questo si aggiunge un altro fenomeno importante: sappiamo che ci sono  migrazioni dovute a discriminazioni di genere e violenze nel paese d’origine, dove le persone verrebbero addirittura uccise. Possono arrivare in un centro di accoglienza dove possono trovare connazionali con il rischio che la discriminazione continui».

Quali prospettive di altre aperture?

«Nel network che abbiamo creato all’interno della Croce Rossa sul territorio nazionale, chiamato Andrea, abbiamo due sogni: aprire questo rifugio anche in altre città d’Italia e poi chiuderli, quando non serviranno più».

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