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Ancora lontana la soluzione della vicenda dei 6 rifugiati eritrei

È una storia dai numeri relativamente piccoli quella dell’occupazione del tempio Saint Laurent di Losanna, in Svizzera, ma è diventata paradigmatica delle difficoltà, delle paure, delle divergenze di opinioni che l’Europa sta mostrando nella gestione della questione dei rifugiati.

Ci siamo occupati a più riprese delle vicende dei sei ragazzi eritrei che dalla primavera scorsa, grazie anche al supporto dei volontari del gruppo “Collectif R”, dove “R” sta proprio per rifugiati, hanno occupato le sale del concistoro del tempio della splendida cittadina sul lago Lemano, nel timore di venire rispediti nella nazione di approdo europeo, nel loro caso l’Italia, come previsto dagli arcinoti accordi di Dublino. Ma il nostro paese per loro aveva significato solo detenzione nei centri di identificazione, botte, vita al limite del sopportabile.

Da qui la decisione di spostarsi in Svizzera e, per evitare un’immediata espulsione, la scelta di occupare i locali parrocchiali. Da mesi è in corso un ping pong di responsabilità fra autorità giudiziarie e politiche, inerzie che hanno dilatato tempi e creato tensioni, non ultime proprio fra i rappresentanti del collettivo e il consiglio sinodale della Chiesa riformata del cantone di Vaud, che oramai da un paio di mesi ha chiesto che i locali venissero sgomberati, per evitare di trasformare un’emergenza umanitaria in un caso politico.

Di fronte al netto rifiuto degli occupanti, timorosi di non aver garanzia alcuna sul proprio futuro, il consiglio sinodale si è rivolto al Consiglio di stato, massimo ordine governativo cantonale, per chiedere il ripristino della legalità ed evitare una strumentalizzazione politica della vicenda, a danno magari di altri richiedenti asilo. I 6 dovrebbero venire ospitati dalle strutture dell’Evam, l’ente pubblico cantonale che si occupa di accoglienza dei migranti e che al momento aiuta oltre 5 mila persone in tutto il territorio elvetico, fra posti letti assegnati e pasti distribuiti, ma al momento non sono giunte prese di posizione ufficiali in tal senso. Per cui per ora rimangono nei locali del tempio.

Forti di una raccolta firme che ha raggiunto le diverse migliaia di adesioni, i rappresentanti del Collectif R hanno alzato il tiro occupando da lunedì 23 novembre l’auditorium del dipartimento di geopolitica dell’Università di Losanna. 50 militanti e 15 rifugiati hanno passato la notte nei locali dopo aver tenuto una conferenza stampa in cui hanno ancora una volta manifestato i propri intenti.

La vice rettrice dell’ateneo Danielle Chaperon stigmatizza le modalità delle azioni in corso: «Siamo sempre molto disponibili ad organizzare dibattiti e momenti di riflessione su temi che interrogano tutta la nostra società, ma in questo caso non siamo stati avvertiti dell’occupazione, che ovviamente causa disagi agli studenti e ha un valore simbolico che una pubblica università non può appoggiare».

I membri del collettivo hanno già calendarizzato incontri e dibattiti fino a giovedì, insistendo in particolare sull’abolizione degli accordi di Dublino, tema che ha raccolto le adesioni e le firme di oltre 500 fra insegnanti e studenti dell’ateneo in un solo giorno.

Il Gran consiglio, che rappresenta l’organo legislativo cantonale, già da maggio ha preso posizione sul tema chiedendo una sospensione dei rinvii in Italia e un ripensamento degli accordi di Dublino, ma come abbiamo visto il Consiglio di stato, organo governativo, non si è ancora espresso, credendo forse che il tempo avrebbe raffreddato la patata bollente. Che invece non sta per nulla perdendo calore, anzi sta attirando l’attenzione di larga parte della società civile.

Foto “University-of-lausanne-internef” di JkbinayOpera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons.