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Corresponsabili per troppo silenzio

Se di fronte alla «terza guerra mondiale a pezzi» – come papa Bergoglio ha definito gli attentati suicidi, le stragi, i bombardamenti e le guerre che caratterizzano l’attuale momento – l’unico punto fermo è Cristo «potenza vittoriosa e dimostrazione del sacrificio di se stessi per amore del prossimo», troppo comodo sarebbe concludere che a noi non resti che pregare, vista la nostra impotenza di fronte a eventi così terribili. Troppo comodo fare come il profeta Giona che, chiamato da Dio ad annunciare il castigo ai Niniviti se non si fossero ravveduti, rinuncia alla missione affidatagli. Puramente rituale sarebbe riconoscerci corresponsabili perché per definizione siamo peccatori. Non si tratta di schierarsi con questo o quel fronte per questa o quella strategia, ma di prendere coscienza di tre questioni fondamentali.

1) Anche dal nostro paese provengono le armi di cui si servono i kamikaze terroristi e gli eserciti contrapposti. L’Italia è tra i primi cinque produttori di armi nel mondo, tuttora davanti alla Cina. Secondo fonti dell’Unione Europea fra il 2001 e il 2011 abbiamo venduto armi di ogni tipo, per 36,5 miliardi di euro e questo mercato internazionale non ha risentito della crisi economica iniziata nel 2008. I nostri clienti sono di 123 nazioni, fra le quali tutte le zone calde (Siria, Libia, Egitto, Arabia Saudita, Pakistan ecc.). Nel 2014 il 28% delle armi italiane sono finite in Nord Africa e nel Vicino e Medio Oriente. Fino al 2011 l’Arabia Saudita – dove il premier Renzi si è recato recentemente in missione – impegnata in una sanguinosa guerra con lo Yemen e grande finanziatrice dell’Isis, è stata il miglior cliente dell’Italia (dopo i clienti europei). Il Kuwait, che il dipartimento della difesa Usa definisce base dei finanziamenti di gruppi estremisti in Siria, fra il 2012 e il 2014 ha comprato 17 milioni di euro di armi e sta perfezionando un contratto con un consorzio europeo, controllato per metà da Finmeccanica, per l’acquisto di 28 caccia Eurofighter, per 8 miliardi di euro. La ministra della Difesa Pinotti segue da vicino la faccenda. Il Qatar ha acquistato, nel biennio, 2012-14, armi italiane per 146 milioni di euro. Secondo il Sipri, prestigioso istituto di ricerca svedese sulle armi, l’Italia è stata il maggior esportatore europeo di armi di ogni genere: pistole, fucili, elicotteri, mine anti-uomo, aerei, bombe sistemi d’arma, droni, ecc. Non parliamo del balletto di cifre relative al mega-acquisto (prima 90, poi 45, poi non si sa più) degli F-35, bombardieri nucleari, difettosi e costosissimi, contro i quali raccogliemmo 1500 firme – pochine – in alcune nostre comunità.

2) Le armi sono indispensabili per la guerra e la guerra, o la minaccia di guerra, è uno strumento della politica e dei suoi obbiettivi. Nella maggior parte dei conflitti gli obbiettivi sono il controllo del territorio e soprattutto delle risorse energetiche strategiche, in primis il petrolio. Nel nostro Paese, a parte la caccia, l’uso delle armi è limitato da due norme fondamentali: l’art. 11 della Costituzione, che ripudia l’uso della guerra come strumento di offesa e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (ma non per la difesa da attacchi esterni), e la legge 185, del 1990, che vieta la fornitura di armi a paesi in guerra o a paesi in cui siano calpestati i diritti umani fondamentali. Queste norme vengono aggirate (siamo o non siamo il paese dei furbi?) in due modi: cambiando nome ad alcune operazioni di guerra promosse dal governo (battezzate come «polizia internazionale») e effettuando vendite di armi (patrocinate o autorizzate dal Governo) attraverso la cosiddetta triangolazione, cioè vendendo a un acquirente intermediario che poi le rivende all’acquirente destinatario. In sostanza il nostro Paese vende armi con cui eserciti ostili e terroristi uccidono soldati e civili.

3) La nostra corresponsabilità consiste nel nostro perfetto silenzio. Altro che pungolare profeticamente il nostro paese per il suo pieno coinvolgimento negli orrori delle guerre e del terrorismo! Altro che riconvertire le spade in aratri! Il nostro Giona sta ancora dentro la balena e i nostri Niniviti dormono sonni tranquilli, infastiditi solo da questo strano profeta – peraltro sovrano assoluto e padrone di una potente banca – che si ispira a Gesù e Francesco d’Assisi nel condannare la guerra, lo sfruttamento del lavoro, la sete di potere e di denaro ecc. Fra circa un anno celebreremo il cinquecentenario della Riforma, i cui promotori non temettero di protestare e contestare, in nome della fedeltà alla Scrittura, l’ordine sociale e politico. Saremo capaci di arricchire l’impegno per l’accoglienza dei migranti, già oggetto di appelli, sermoni e iniziative concrete, con la contestazione del militarismo e la costruzione della pace? E di vincere il senso di impotenza e la paura che la guerra guerreggiata e il terrorismo ci infondono ricacciandoci nella balena?

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