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Il patto inclusivo di Dio

Ecco, io vengo a voi, monti di Israele, mi volgerò verso di voi, e voi sarete coltivati e seminati
(Ezechiele 36, 9)

Ha soccorso Israele, suo servitore, ricordandosi della misericordia, di cui aveva parlato ai nostri padri, verso Abraamo e verso la sua discendenza per sempre
(Luca 1, 54-55)

Ezechiele fa parte del primo gruppo di deportati a Babilonia; in terra d’esilio e prigionia segue con apprensione le notizie che giungono da Gerusalemme assediata e poi distrutta dai babilonesi. L’interpretazione che egli ne dà non è politica, ma teologica: la tragedia è la conseguenza della rottura del Patto con Dio da parte di Israele.

Tuttavia Israele si riprenderà: Gerusalemme sarà ricostruita. Il suo futuro è infatti radicato nella fedeltà di Dio che, nonostante tutto, mantiene il suo Patto, se ne ricorda.

Nel «Magnificat» Maria esulta perché, pur vivendo anch’ella in tempi di oppressione, a causa della dominazione romana, Dio si ricorda del suo Patto, ma non quello del Sinai, bensì quello con Abramo. Anzi, Maria dice: «Abraamo» (con due “a”), cioè «padre di una moltitudine». Un Patto, dunque, che supera i confini di Israele, per allargarsi e comprendere tutta l’umanità. E perciò anche noi.

In tempi oscuri come quelli che stiamo vivendo, non rassegniamoci, ma impegniamoci per la giustizia, la pace e l’integrità del creato. E il Signore, nella sua misericordia, farà il resto.

Foto “Abraham Journeying into the Land of Canaan“. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons.