eucaristia

La Cena del Signore, un viatico per camminare insieme

Nella rubrica radiofonica “Il cammino verso l’unità”, che curo una volta al mese per il programma “Culto evangelico” di Radio 1 Rai (e che viene pubblicata anche su Riforma), per due volte mi sono occupato del tema delle coppie “miste” – o meglio interconfessionali -, quelle dove un coniuge è cattolico e l’altro appartiene ad un’altra confessione cristiana. Ne abbiamo parlato in ottobre per dare voce alle speranze della Rete internazionale delle famiglie interconfessionali, che chiedevano al Sinodo dei vescovi sulla famiglia di smettere di considerarle come un “problema” e di riconoscerne invece la ricchezza e le potenzialità. Le famiglie interconfessionali chiedevano in particolare un passo in avanti nella possibilità, per i coniugi, di accostarsi insieme all’eucarestia o Cena del Signore che dir si voglia (cosa che di norma è possibile nelle chiese evangeliche, ma non in quella cattolica).

La seconda volta, in novembre, siamo tornati sull’argomento per lamentare la frustrazione di queste speranze: la relazione finale del Sinodo da poco concluso, infatti, su questo punto ribadisce quanto previsto dal Direttorio ecumenico del 1993, e cioè che “sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’Eucaristia non può essere che eccezionale”. Anche se nel dibattito sinodale c’erano state delle proposte di apertura, alla fine è prevalsa la posizione più prudente (o più conservatrice). Ma fino a quando sarà possibile fermare le pressioni della base delle chiese, che chiede da tempo di superare lo scandalo della divisione dei cristiani alla mensa eucaristica?

Un vecchio adagio latino dice: Roma locuta, causa finita. Cioè: quando Roma ha parlato, non c’è più niente da fare. Ma si tratta di un detto che forse, con l’attuale pontefice, va rivisto. Pochi giorni fa Francesco, infatti, ci ha riservato una nuova sorpresa, durante la visita alla Chiesa luterana di Roma (15 novembre). Alla domanda di Anke de Bernardinis, una luterana di Roma sposata con un cattolico, che diceva “ci duole assai l’essere divisi nella fede e non poter partecipare insieme alla Cena del Signore” e chiedeva “che cosa possiamo fare per raggiungere, finalmente, la comunione su questo punto?”, papa Francesco ha fatto sua la domanda della signora de Bernardinis chiedendosi: “Condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi”, ha aggiunto Francesco, ma poco più in là si è dato da solo la risposta: “’Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue’, ha detto il Signore, ‘fate questo in memoria di me’, e questo è un viatico che ci aiuta a camminare”. E ha consigliato di seguire la coscienza: “Vedete voi… E’ un problema a cui ognuno deve rispondere. Mi diceva un pastore amico: ‘Noi crediamo che il Signore è presente lì. E’ presente. Voi credete che il Signore è presente. E qual è la differenza?’ ‘Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…’ La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni. Sempre fate riferimento al battesimo: ‘una fede, un battesimo, un Signore’, così ci dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più” (il testo completo delle risposte del papa alle domande rivolte durante l’incontro con i luterani di Roma è disponibile sul sito ufficiale del Vaticano)

Bergoglio, insomma, è molto più avanti dei vescovi. A me pare che il suo pensiero in materia sia chiarissimo: anzitutto, primato della coscienza. L’affermazione che non oserà mai dare un “permesso” di condividere la Cena “perché questo non è mia competenza” non va letta come un pilatesco “lavarsi le mani”. Ci vedo piuttosto (ma forse sono i miei “occhiali protestanti”?) il riconoscimento del fatto che la Cena non è nostra bensì, appunto, del Signore: “Parlate col Signore e andate avanti”. E poi, la Cena non come approdo finale di un cammino di unità, ma come viatico – cioè letteralmente “provvista per il viaggio” – che ci consente di camminare insieme verso l’unità.

Roma locuta, causa finita? Vedremo quale “Roma” prevarrà, se le parole di apertura del papa o la prudenza del Sinodo dei vescovi. Certo, è paradossale per un protestante, per una volta, “tifare” per il sommo pontefice e non per un organismo collegiale come il Sinodo. Grazie, comunque, al fratello Francesco che ci consente ancora una volta di sperare in una nuova primavera ecumenica.

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