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Migranti, dal vertice di Malta poche novità

Si conclude oggi a Malta il vertice sull’immigrazione tra Unione europea e i paesi dell’Unione africana, un incontro molto atteso ma dal quale, a meno di sorprese, non emergeranno novità significative nel breve periodo.

Nella giornata di ieri il summit è stato caratterizzato da un rifiuto, espresso dalla presidente dell’Unione africana Nkosazana Dlamini-Zuma, che ha portato in assemblea la contrarietà africana all’apertura di centri di identificazione e smistamento dei migranti nei paesi di partenza delle migrazioni, affermando che «nei centri in cui si concentrano decine o centinaia di migliaia di persone non sarebbe possibile garantirne la sicurezza».

Senza questa disponibilità da parte dei paesi africani, tutto l’impianto del vertice potrà portare soltanto a un accordo minimo e alla costituzione di un trust fund da parte dell’Unione europea. Si tratta di un impegno consistente, pari a poco meno di due miliardi di euro, al quale si aggiungeranno i contributi dei singoli Stati membri, ma che da solo non risolverà i problemi.

Secondo Filippo Miraglia, responsabile delle politiche migratorie e vicepresidente nazionale dell’Arci, si tratta di una «forma moderna di colonialismo che l’Unione europea cerca di barattare in cambio di pochi aiuti allo sviluppo e soprattutto in aiuti per le forze di polizia per il controllo delle frontiere. È una logica da respingere e che va inserita in una vera discussione su una relazione internazionale che non può continuare a essere basata solo su un rapporto disuguale e sul ricatto economico come quello proposto in questi due giorni».

L’Unione europea sperava di uscire da questo summit con un impegno concreto da parte dei paesi africani sui rimpatri, ma quello che sarà siglato a Malta sarà probabilmente soltanto uno dei cinque piani d’azione concordati dal 2005 a oggi, e come tale verrà ricordato o dimenticato quando sarà sostituito da un nuovo accordo. «Quello che succede a La Valletta – continua Miraglia – dà ragione a Orbán, perché i governi europei stanno cercando di impedire alle persone di arrivare in Europa. In questo modo non si va da nessuna parte, perché non ci sarà una diminuzione dei flussi, ma soltanto un aumento dei morti e dei costi, economici e sociali, che la gente dovrà pagare per attraversare le frontiere».

Nel vertice di questi giorni non si parla e non si parlerà di corridoi umanitari né dell’apertura delle ambasciate e dei consolati europei ai profughi e ai richiedenti asilo per dare loro la possibilità di arrivare legalmente in Europa. «Pensiamo – spiega Miraglia – che questo tipo di operazione, per esempio compiuta nei paesi del Nordafrica, in Medio Oriente, o anche in est Europa sulla rotta balcanica, debba essere gestita da un’agenzia internazionale per conto dei governi, che devono assumersi la responsabilità di questa scelta e devono investire di maggiori poteri l’agenzia internazionale che si occupa di rifugiati, l’Unhcr».

I corridoi umanitari non sono l’unico modo di parlare di canali di ingresso legali in Europa, ma il tema a La Valletta è stato toccato in modo davvero marginale, e il piano di azione in cinque punti che sarà sottoscritto alla fine della giornata di oggi si limita a parlare di borse di studio e di progetti pilota per raccogliere le offerte di lavoro per i cittadini non comunitari. A questo si aggiungono soltanto le parole dell’Alta rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, che ha detto che «sui canali di immigrazione legale stiamo lavorando a proposte che arriveranno nei prossimi mesi». Questo punto, che avrebbe rappresentato un cambio di paradigma importante nell’approccio europeo alle migrazioni, viene in questa fase demandato alle organizzazioni non governative e alla loro capacità di azione. La Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, sta allestendo in questi ultimi mesi degli humanitarian desk sperimentali in Marocco e Libano con il contributo dei fondi dell’Otto per mille per garantire canali sicuri di accesso ad alcune migliaia di persone. Secondo Miraglia «è un progetto prezioso, ma una cosa è una sperimentazione come quella della Fcei, un’altra è la mancanza di volontà dei governi di andare oltre questi piccoli numeri e alle proprie responsabilità, limitandosi a sviluppare iniziative rivolte a qualche migliaio di persone mentre c’è intorno al Mediterraneo un flusso di rifugiati richiedenti protezione internazionale di milioni di persone. È ridicolo che un continente, uno spazio come l’Unione europea, non si faccia carico di qualche centinaio di migliaio di persone in termini di reinsediamento per consentire a questo di arrivare in sicurezza. L’Europa, ancora una volta, piangerà lacrime di coccodrillo».

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